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1 Dicembre 2017 , , ,

The Telescopes STONE TAPE

2017 - Yard Press
[Uscita: 20/11/2017]

Inghilterra      #consigliatodadistorsioni

 

The Telescopes non lasciano, anzi, raddoppiano. A distanza di soli quattro mesi dal precedente, ostico, difficilissimo, ma bellissimo “As Light Return” esce inaspettatamente questo Stone Tape che abbandona in parte le ostilità di quel muro di suono granitico e invalicabile per concedersi qualche ammorbidimento anche se pur relativo. Diciamo subito che in questo caso dietro la sigla telescopica si nasconde il solo Stephen Lawrie, leader della band inglese, che scrive, suona, canta, arrangia e produce quest’opera ispirata dalle bizzarre teorie del 1961 dello scienziato, archeologo e parapsicologo Thomas Charles Lethbridge, il quale affermava che anche i materiali inanimati potessero assorbire energia dagli esseri viventi per poi rilasciarla e riprodurla in determinate condizioni. Pubblicato per l’etichetta italiana Yard Press per una collana sperimentale curata da Giandomenico Carpentieri, l’album, ammorbidendo, in parte, le intransigenze sonore del disco precedente si rivela addirittura superiore a quello, sfiorando il capolavoro.

 

Con numi tutelari come i Velvet Underground più sperimentali e pur non abbandonando le ondate droniche, feedback e rumorismi assortiti, Lawrie sussurra nel modo inintelligibile che già gli conosciamo senza nulla concedere a desideri di maggiore comprensione in brani come The Desert In Your Heart, sorta di Venus In Furs apocalittica e futuristica, e ancora sulla scia dei VU è l’iniziale e ripetitiva Become The Sun, mentre la lunga Everythinghs Must Be si rivela un gioiello splendente di ambient del futuro da fare invidia al maestro Brian Eno.

Lo shoegaze più intransigente per il quale The Telescopes sono (stati) etichettati lo ritroviamo in Silent Water, una meravigliosa ballata acustica e rumorista al tempo stesso, così come in Dead Inside altra strepitosa canzone acustica ancora debitrice ai Velvet e a Jusus & Mary Chain che si apre a metà strada a squarci sonori, a gemiti e lacerazioni droniche, mentre i rumorismi, i loop reiterati e i feedback più oltranzisti sono riservati a The Speaking Stones. La voce di Lawrie come da contratto Telescopes è quasi sempre un flebile sussurro sepolto sotto la massa sonora e tutto l’album complessivamente merita un ascolto attento e approfondito che sappia coglierne le mille sfumature esistenti. Musica non per tutti, ovviamente, ma per quelli che l’apprezzeranno il godimento emozionale è assicurato. 

 

Voto: 7,5/10
Maurizio Pupi Bracali

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