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29 Ottobre 2017 , ,

Protomartyr RELATIVES IN DESCENT

2017 - Domino Records
[Uscita: 29/09/2017]

Stati Uniti     #consigliatodadistorsioni

 

Due anni fa, dopo l’uscita di “The Agent Intellect(foto sotto a destra), divenne chiaro per tutti che qualcosa era accaduto nel mondo della chitarra distorta anche se non tutti capirono bene cosa. Protomartyr da allora è divenuto il marchio di fabbrica di tutto ciò che è post punk/moderno/rock/goth/decadente, lasciando per giorni interi i baffi a manubrio di più di qualche esegeta tra il pollice e l’indice. Fu quello che accadde ai più, gli altri purtroppo scrissero. Una nuova ondata di devozione post-punk montava intorno al nuovo totem piuttosto stagionato di Joe Casey. È così che il nuovo “Relative in Descent” ha il tono declamatorio, l’andamento stregonesco di una nuova ritualità misterica, uno spiritualismo per sola chitarra. L’album è in modo inequivocabile un percorso iniziatico al cui centro vi è la città di Detroit. Chiunque conosca la storia recente, dalla deindustrializzazione forzata al default ciclopico del 2014 riconoscerà nella costruzione armonica ostentatamente in minore di pressoché tutto il disco un quartiere della città statunitense. L’ostinazione con la quale una postura molto colta sembra sputare in volto all’andatura foscamente enragé della sezione ritmica è ciò che rende l’iniziale A Private Understanding un classico istantaneo del post-punk universale. Ma se ciò è vero occorre fare i nomi, e i nomi sono quelli da tirare fuori solo nelle grandi occasioni, Joy Division e Jesus Lizard su tutti a contendersi la scena.

 

Corpses in Regalia è una esplicita estinzione del debito con Ian Curtis in un corpo a corpo ossessivo dal quale la qualità sacerdotale della voce di Casey riesce a disegnare un mondo dai tratti gotici che lascia imbrunire all’istante qualsiasi coscienza. E tutto questo senza che nessuno abbia dovuto pittarsi le unghie di nero, anzi la questione va talmente in là che è possibile anche rintracciare uno strano groove (!?) quasi-funk. L’impossibilità della pacificazione risulta essere il senso ultimo delle lunghe tirate spiraliformi di Here is the Thing, e inaspettate accelerazioni belluine di Here is the Thing. La stessa colta rabbia con la quale ogni singola traccia di Relative in Descent ci ricorda che se non c’è futuro è perché anche lui ha fatto il suo tempo ed è destinato ad eclissarsi nel complicato mondo di una umanità claudicante, indifesa e francamente spregevole. La chitarra di Greg Ahee si intrattiene in un pestaggio estenuante della forma canzone per poi fronteggiare come un posseduto, circondandola (letteralmente), la voce ansiogena di protomartyr-the-agent-intellect-review-header-graphicCasey: una materia svuotata di senso a calci nel sedere e riempita di scetticismo; Half Sister ne è il manifesto politico, sismografo del collasso metafisico dei nostri tempi: «After the sun had burned away/ its image consulting physicists and mediums/The man he realized/It was a relative living a 1000 miles away». L’impossibilità di cogliere con nettezza la distinzione tra valore e disvalore, memoria e narrazione è epistemologia allo stato puro. E così possiamo anche perdonare qualche posa da vate al nostro Casey il quale dà spesso l’impressione di usare la cultura come un randello da brandire a caso, a volte anche dalla parte sbagliata. Il tutto in un disco in ogni senso necessario. 

 

Voto: 8/10
Luca Gori

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