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23 Settembre 2014

W. Leo Smith, J.Saft, J.Morris, B.Pandi RED HILL

2014 - Rarenoise records/Lunatik
[Uscita: 23/09/2014]

USA                                                                                                       # Consigliato da Distorsioni

REDHILL_600600_72DPIA non molto tempo di distanza dell’ottimo “The new standards” ritroviamo Jamie Saft, pianista di estrazione zorniana, in un quartetto che fa capo al trombettista Wadada Leo Smith. Il disco è stato registrato in un’unica session nel dicembre dello scorso anno e riunisce quattro musicisti con storie e sensibilità molto diverse. Smith, nato nel 1941, passato alla tromba dopo aver studiato batteria e corno francese, si unisce alla storica e seminale AACM di Chicago e forma gruppi con Anthony Braxton, Leroy Jenkins, Oliver Lake, Muhal Richards Abrams. Joe Morris nasce chitarrista, influenzato da Hendrix, dal 2000 alterna chitarra e basso. Anche lui frequenta la scena di Chicago, soprattutto le nuove stelle come Hamid Drake, Mattew Shipp, Ken Vandermark. Ancora più singolare il percorso del più giovane del gruppo (classe 1983), l’ungherese Balasz Pandi, capace di passare dall’elettronica dei Venetian Snares al doom metal passando per Merzbow e Zu.

 

Dopo le presentazioni di rito non sarà facile immaginare che musica possano suonare quattro musicisti così diversi ed eclettici. Ebbene, si tratta di jazz. Certamente non cool jazz o hard bop; siamo tra il free meno esasperato e la sperimentazione elettrica del Miles Davis di “Bitches Brew”, specie quando Jamie Saft si cimenta col piano Rhodes. Già l’inizio del primo dei sei lunghi brani che compongono l’album, Gneiss, ci porta in quella direzione: una tromba suonata con la sordina, su note piuttosto alte, esplora un tema, poi la batteria inizia a tenere un tempo molto complesso, ed è lo strumento che dialoga di più con la tromba, mentre il pianoforte rimane sullo sfondo, con una serie di liquidi arpeggi. Ben presto anche il piano si ritaglia uno spazio solista, con un solo che porta la musica del quartetto verso territori più melodici, ma sempre ai limiti dell’atonalità, che si esasperano nel finale del brano, specie quando Saft passa al piano elettrico. I brani si susseguono su questa falsariga -Agpaitic, con Morris che usa anche l’archetto, è persino più radicale -  con un serrato interplay tra i quattro strumentisti che non si attengono mai ad una rigida distinzione tra solista e ritmica ma spesso hanno fasi di improvvisazione totale. Un disco molto interessante, ma non di facile ascolto per chi non è già addentro al genere suonato dai quattro eclettici performers.

 

Voto: 7.5/10
Alfredo Sgarlato

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