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6 Settembre 2020 ,

The Waterboys Good Luck, Seeker

2020 - Cooking Vinyl
[Uscita: 21/08/2020]

La grande enfasi della Big Music del talentuoso Mike Scott e dei suoi Waterboys aveva contribuito ad ampliare la visuale cromatica del post punk. Nei primi anni '80, solo la creatività di poche band aveva provato a vivacizzare di inediti sprazzi di luce le atmosfere scarne e mortifere dell'era post, dove tutto appariva fuggevole e illusorio, dove i lunghi soprabiti scuri ammantavano le ultime velleità barricadere e dove il sogno spezzato si traduceva, anche nel sociale, con l'epitaffio tatcheriano del "There is no alternative". Ma certo non sarebbero bastate un pugno di rimarchevoli ballate calde e appassionate e le gesta di una sezione fiati devota al dio Pan e alle sue euforie silvestri se non fosse uscito fuori un album meravigliosamente strutturato e indicibilmente sferzante, incollocabile nel suo anacronismo, come "Fisherman's Blues" (Ensign/Chrysalis,1988) a rompere le righe del perfetto allineamento al sentire dell'epoca. L'apice e la croce di Mike Scott. Niente dopo Fisherman's Blues poteva più essere lo stesso. A volte ci si domanda come mai i nostri idoli giovanili non riescano più a eguagliare la prodigiosa magia dei tempi passati. Dipende dalla loro o dalla nostra evoluzione? Dalla loro o dalla nostra perdita d'innocenza? Ma davvero sarebbe il caso di riflettere un attimo sulla parabola evolutiva di un frontman come Scott che, al giro di boa dei sessantun'anni, prova a fasi e fortune alterne, a declinare nuovi status comunicativi senza mai arrestare la sua voglia di scoprire e imprimere stacchi direzionali. Andrebbe abbracciato solo per questo. Ma veniamo a questa sua ultima fatica, "Good Luck, Seeker", 14 brani che diventano 24 nella versione deluxe con alcuni dei brani rivisitati in versione strumentale o semplicemente semplificati a voce o solo di chitarra. Tutto parla di una inquieta ricerca interiore, di un folk delle radici, di una poetica mistica che si orienta alla purezza delle origini e alla sacralità arcaica, spogliandosi di tutti gli orpelli e di tutte le sovrastrutture imposte dalla civilizzazione. Tra episodi discontinui e altalenanti, a tratti festosi - la funky soul The Soul Singer con tanto di coretti gospel - a tratti scarni ed esistenzialisti - la declamata Postcard From The Celtic Dreamtime, lacerata dai tocchi affilati del violino di Wickham - non mancano mai le sorprese spiazzanti. E se Low Down In The Broom mette in evidenza la voce e le chitarre in una nostalgica foto sbiadita piena di rimandi al manifesto ideale di Scott, pezzi come (You've Got To) Kiss A Frog Or Two  e Freak Street allestiscono un cabaret inedito che protesta la voglia di impedire rimandi in qualunque direzione. Sono dei Waterboys sommessi, taglienti, acidi e incompromissori, che procedono con tempi onirico psycho spiraliformi e sezioni ritmiche che ammantano la chitarra e la proverbiale sezione fiati in tempi distorti e sintetici che potrebbero far pensare al free form marziale di Fad Gadget. La cover di Why Should I Love You? contenuta nell'album di Kate Bush del 1993 "The Red Shoes" ha un andamento down swing accattivante ma anche Sticky Fingers trascolora in arrangiamenti effervescenti pieni di sound effects e backing vocals. Poi c'è il techno-pop di The Golden Work che lascia spazio assoluto a tastiere e loop di batteria (rispettivamente Brother Paul Brown e Ralph Salmins). Ritroviamo parvenza del meraviglioso afflato Wickham-Scott e un dosaggio strumentale degno dei più stoici portatori di acqua vitale, nel meraviglioso crescendo di My Wonderings In The Weary Land, che omaggia il muro sonoro e cristallino della Big Music, l'incontro delle due terre verdi e selvagge che sono l'imprinting della band, la Scozia e l'Irlanda. Meno riusciti i drumbeat tra elegia e hip-hop della title-track, di Everchanging e di The Land of Sunset che seppelliscono le vanaglorie pastorali di Scott e le atmosfere mistiche in una ragnatela ritmica del tutto fuori luogo.

Voto: 7/10
Romina Baldoni

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