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15 Febbraio 2017

Duke Garwood GARDEN OF ASHES

2017 - Heavenly Recordings
[Uscita: 3/02/2017]

Inghilterra     #consigliatodadistorsioni

 

Sarebbe finalmente ora che gli appassionati di buona musica tributassero il giusto successo a questo non più giovane musicista, qui al suo sesto disco solista, ma per anni apprezzato collaboratore di artisti come Mark Lanegan, Savages, Wooden Wand, Archie Bronson Outfit. Garwood, originario del sud di Londra, ha una formazione prettamente blues e certo, ascoltando i suoi dischi, lo si direbbe americano, tanto la musica d'oltreoceano, soprattutto quella della Costa Occidentale, sembra aver trovato nel musicista inglese un suo intreprete eccelso e di grande talento. Rispetto al precedente lavoro, il bellissimo “Heavy Love”, incentrato su temi intimi e riflessivi, qui Duke Garwood osserva il mondo che lo circonda e vi vede un insieme di crudeltà e violenze, allora il disco cerca, secondo quanto dichiarato dall'artista, di dare «uno sguardo in giù alla bestia dell'odio per conquistare il nostro giardino», perché c'è sempre la possibilità, la speranza di avere un mondo migliore, che è il tema di Sunny Boogie brano ispiratissimo in cui si respirano le atmosfere sognanti e lisergiche ( «it’s like the sun moved to a better world») del Laurel Canyon e che ritroviamo in una forma di canto corale da tribù hippie e bucolica nell'incantevole Blue.

 

Ma il resto del disco, che vede in apertura l'ipnotico blues Coldblooded, qui Garwood canta «let us trade a tale of wrong and good», mentre sui due canali dello stereo le chitarre creano un gioco sottilemnte inquieto, si muove più decisamente verso la tradizione roots e blues del Sud americano, i suoni dopo i tre brani già citati tendono a scarnificarsi, a ridursi all'essenziale, ritmica all'osso, suoni di chitarra a creare atmosfere tese e scure, a evocare le contorsioni dell'anima. Il blues viene rallentato fino al limite, come nella conclusiva Coldblooded the Return, e il convincimento di trovarci davanti a uno di quei dischi che ci accompagneranno per lungo tempo cresce man mano che Garwood dipana le sue storie e la sua musica ci rimanda nell'universo nel quale fluttuano altri grandi come Mark Lanegan, Nick Cave, Hugo Race. La polvere del deserto, non solo di quello americano, ma vi si trovano tracce anche di quello subsahariano, sembra uscire dalla casse e coprire tutto ad accompagnare la voce evocativa, a volte sussurrata, a volte perfino affaticata, come nella suggestiva ninna nanna Sleep. Dedichiamogli ben più di un ascolto, non avremo modo di pentircene e magari andiamo a vederlo nel tour che terrà a fine febbraio nel nostro paese.

Voto: 7,5/10
Ignazio Gulotta

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