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24 Ottobre 2018 ,

Jerusalem In My Heart DAQA’IQ TUDAIQ

2018 - Constellation Records
[Uscita: 05/10/2018 ]

Libano-Canada

 

jimh_2L’intrigante progetto multimediale che contempla due personaggi di alto rilievo artistico come il polistrumentista di origini libanesi Radwan Ghazi Moumneh e il movie-maker canadese Charles-André Coderre, denominato Jerusalem In My Heart, segna un altro importante capitolo discografico, “Daqa’iq Tudaiq, sotto la meritoria egida della Constellation Records. Giunto al quarto episodio, il progetto summenzionato, dopo la convincente performance con i valorosi Suuns del 2015, licenzia un album di particolarissima fattura. Vero è che la commistione di differenti stili funziona precipuamente dal vivo, in virtù della fusione tra suoni e immagini, e tuttavia anche su disco la musica evoca scenari mentali alquanto interessanti. Il connubio tra musiche popolari di chiara estrazione araba e ispirazione puramente elettronica trova, anche se non sempre, felice sincretismo nei frammenti dell’album in questione. Ne sia irrefutabile testimonianza l’abbrivio, una lunga suite divisa in quattro parti, Wa Ta’ atalat Loughat Al Kalam, (traduzione: “Il linguaggio della parola è stato spazzato via”), ovvero l’adattamento di un poema popolare egiziano dal titolo “Ya Garat Al Wadi” e qui adattato per orchestra di strumenti tradizionali (buzuk, santur, qud, riq, derbakeh…) per una di quindici elementi diretta abilmente da Sam Shalabi. Un impianto di suoni avvolgenti che ammaliano i sensi con il loro incedere sinuoso, un tappeto sonoro drappeggiato da intarsi vocali onirici e rinvianti a desertiche suggestioni ologrammatiche.

imagesV’è una netta cesura, stilistica, contenutistica, tra prima e seconda parte dell’album: quanto più afferente alla tradizione araba e mediorientale suona l’incipit, tanto più sperimentale e avanguardistica appare la sezione finale dell’opera. Si può affermare, senza tema di smentita, che la drastica divisione stilistico-tematica tra le due parti in parola costituisce, a un tempo, la forza ma anche la debolezza di quest’album. Infatti, così come d’acchito suona avvincente la commistione tra tradizione e avanguardia, contestualmente si ha la netta impressione che le due parti non riescano totalmente ad amalgamarsi in un organico tessuto sonoro. Vi è, forse, un eccessivo divario d’approccio, tale da far immaginare, piuttosto, due dischi in uno. Jerusalem_In_My_Heart_1448360613_crop_550x367Testimonianza palese ne è il frammento sonico che apre la seconda parte e che reca come titolo Bein Ithnein, un’ipnotica danza elettronica sul ciglio dell’abisso dallo spiccato taglio sperimentale. Tahab, Mish Roujou’, Thahab, traccia nella quale atmosfere arabe e lievi spume elettroniche si fondono, prelude alla tradizionale ballata par strumenti a corda Layali Al-Rast e alla finale elegia dall’estenuato impianto armonico Kol El’ Aalam O’youn. In definitiva, un’opera comunque intrigante e di un qual certo pregio. 

 

Voto: 7/10
Rocco Sapuppo

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