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29 Giugno 2018 ,

John Parish BIRD DOG DANTE

2018 - Thrill Jockey Records
[Uscita: 15/06/2018]

Inghilterra      #consigliatodadistorsioni

 

John Parish è uno dei più grandi e raffinati musicisti e produttori della scena contemporanea. Geniale produttore (Pj Harvey, Eels, 16 Horsepower, Giant Sand, Sparklehorse, Afterhours, Cesare Basile…), e superbo chitarrista e compositore in proprio di colonne sonore e dischi di raro pregio artistico. Il musicista inglese licenzia alle stampe per i tipi della meritoria etichetta discografica Thrill Jockey il notevole “Bird Dog Dante”, un lavoro sospeso tra post-rock d’autore e musica d’avanguardia. Undici frammenti di sonorità sperimentali venate di psichedelia e pregno di tocchi da fuoriclasse. Affiancato da Jeremy Hogg alla chitarra, Marta Collica alle tastiere, Giorgia Poli (già con gli Scisma) al basso, Jean-Marc Butty alla batteria, Parish dà vita a un rock scarnificato e desertico, lunare e algido come la morte. Brani come Add To The List, grondante di atmosfere languide e inquietanti a un tempo, con basso e chitarra in liquida e lenta declinazione, o Sorry For Your Loss con la voce sensualmente inferma della grande Pj Harvey, sorta di ballata per spettri tornati dal regno dei morti, già danno il senso della profondità abissale dell’album in parola.

 

Sempre sulle corde di un’immaginaria traversata attraverso deserti interiori si dispiega la linea folk-rock di The March, con la chitarra a singhiozzare note quasi in dissolvenza filmica. Non è un caso che a virtuali colonne sonore s’ispirino poi frammenti quali Let’s Go, dallo spiccato modus sperimentale, o Buffalo, segmento dalla linea sonora frastagliata e impervia, o Kireru, forse l’episodio più riuscito dell’album, in cui tratto futuristico e impasto sperimentale convivono in superba simbiosi, sull’onda mesmerica di chitarra in distorsione e tastiere in cupa declinazione, o, ancora meglio, Le Passé Devant Nous, annegata in placide note di piano che rinviano a paesaggi crepuscolari avvolti in brume sensoriali. Sulla stessa scia, minimalistica e incisa sul pentagramma come con punteruoli baciati dalla ruggine Carver’s House che riecheggia lo stesso senso di annichilamento dei racconti del grande scrittore americano cui è ispirata. A chiudere un album di sontuosa sostanza, il rock puro e immediato di The First Star. Gran disco, invero.

 

Voto: 8/10
Rocco Sapuppo

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