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13 Ottobre 2012

Reality Matteo Garrone

2012 - Italia

reality-matteo-garroneCon “Reality” (Grand Prix all’ultimo Festival di Cannes) Matteo Garrone mette in scena una parabola dai toni fiabeschi che ci pone dinanzi al problema primordiale dell’arte e del pensiero estetico: il rapporto tra realtà è finzione. Reality, dunque, da intendersi sì nel senso di Reality show (però non è un film sul Grande Fratello), ma anche e soprattutto nel senso di realtà, archetipica questione filosofica, prima ancora che artistica. Luciano Ciotola (interpretato da Aniello Arena: dopo il film dei Taviani, un’altra grande prova d’attore d’un detenuto), pescivendolo napoletano con un’innata attitudine “teatrale” e che tira avanti ordendo insieme ai familiari piccole truffe, viene convinto a fare il provino per il Grande Fratello. Da quel momento in poi la sua vita è completamente stravolta: convinto che fantomatici emissari del programma lo spiino per testare la sua idoneità al programma, inizia a vivere come se fosse costantemente sotto l’occhio televisivo, fino ad arrivare a distorcere, reinterpretandola, la realtà stessa, e a guastare i rapporti con chi gli sta intorno.

 

Luciano crede di vivere, dal di fuori, nel programma televisivo, sempre in attesa di quella (sempre meno probabile) chiamata che lo porterà dentro la casa, e che gli cambierà la vita. Dopo “Gomorra” Garrone schiva abilmente i richiami e la grandeur hollywoodiana per girare un film “piccolo”, una commedia psicologica, che gli permette però di continuare il proprio discorso registico in una totale autonomia di visione. E alla magnificenza americana Garrone preferisce i toni della commedia italiana degli anni d’oro, e i nomi da fare sarebbero tantissimi (bastino qui il Fellini de “Lo sceicco Bianco”, ma anche il dramma grottesco del viscontiano “Bellissima”), ma il suo più che un omaggio è una reinterpretazione, ed è soprattutto lo spunto per riscrivere, aggiornandolo, il linguaggio di un genere che, se ben utilizzato, ha ancora molto da dire. Il personaggio-Luciano è, dunque, una via di mezzo tra un Pinocchio affascinato dal Paese dei Balocchi (e non a caso a un certo punto compare anche un grillo, che però osserva e non parla) e Wanda, la protagonista de Lo Sceicco Bianco, la timida sposina che tenta la fuga nel mondo dei sogni dei fotoromanzi dimenticando la sua vita vera.

 

realityReality è una fiaba in cui l’apologo morale, la riflessione estetica e la distorsione grottesca si fondono, in uno splendido ossimoro visivo, con uno spirito quasi documentaristico (già presente in Gomorra), grazie alle ambientazioni, alla recitazione e ai corpi degli attori, ai tempi cinematografici, e alle scelte di regia. Garrone, infatti, s’insinua con la macchina da presa (il regista è anche operatore alla macchina) tra i personaggi, ne indaga i volti e ne segue i movimenti (con uno splendido uso della camera a mano e del piano-sequenza, e un indugiare “deluziano” sul primo piano), indaga con l’obiettivo una realtà  che è più reale del reale. Garrone è uno dei pochi registi del cinema italiano che fa ancora cinema con i corpi (attoriali: vedi “Primo Amore”), analizzandoli senza pietà, siano essi i corpi sfatti e sovrappeso dei familiari di Luciano, o la bellezza di gomma della carne volgarmente esposta dei partecipanti al reality show. I suoi personaggi sono maschere (napoletane: Totò, Pulcinella, ma anche Troisi, sono dietro l’angolo), stereotipi e tipi esistenziali, ma al tempo stesso sono specchio di un’indagine psicologica attenta e approfondita.

 

Reality è un film che scruta il reale scegliendo come ambientazione una serie di luoghi iconicamente pregnanti, luoghi in cui il falso diventa vero e il vero si sublima nella falsificazione: la casa-set del Grande Fratello in primo luogo, ma anche il matrimonio d’ambientazione finto-settecentesca, fatto di costumi, carrozze dorate, scenari di cartapesta che ricreano una sorta di Versailles sintetica alla periferia di Napoli; così come il centro commerciale (non-)luogo iperreale per eccellenza, o l’outlet, prodotto architettonico che riproduce le fattezze di una città, ma lo fa come se fosse un set cinematografico hollywoodiano. Ancora una volta, dunque, il falso diventa immediatamente vero, e la realtà è più finta della finzione cinematografica: con un gioco di scatole cinesi sono spesso scelti come set luoghi concepiti essi stessi come set (extra-) cinematografici, o come quinte teatrali, che imitano la realtà pur facendone parte. E questi Reality-Matteo-Garronesono luoghi ideali per rappresentare la perdita di identità del protagonista, lo sfilacciarsi graduale dei suoi rapporti col vero, il suo spersonarsi nel farsi comunque personaggio, pur fuori dal set televisivo.

 

Diceva Guy Debord che “nel mondo realmente rovesciato il vero è un momento del falso”: il film di Garrone sta lì a dimostrarcelo e la vicenda del protagonista diventa una riflessione sul labile confine (che sconfina nella patologia) tra realtà e finzione, un mondo carnevalesco alla rovescia, tragicomico nella sua realizzazione. Garrone mette in scena la grande illusione del cinema e nel cinema, trasportandola in una storia in cui l’illusione si fa vera e il vero non è più sufficiente a giustificare l’esistenza. Il mondo di Luciano diventa, da reale, iper-reale, filtrato da un medium immaginario che rende vera la vita di tutti i giorni solo se mediata da un supposto, quanto fittizio, osservatore esterno, che serve a giustificare le azioni, la morale, i comportamenti. In sintesi l’esistenza che si autogiustifica attraverso la ri-mediazione della realtà nel suo doppio, nella sua imitazione, nella sua falsificazione.

 

Luca Verrelli

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