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22 Aprile 2012

Diaz – Don’t clean up this blood Daniele Vicari

2012 - Italia

Orrore, sgomento, disperazione, vergogna. Forse non esistono termini che possono definire la reazione alla visione del discusso film di Daniele Vicari. Mentre stiamo scrivendo ci tremano ancora le mani ripensando alle due ore di proiezione appena passate, due ore nelle quali rimanere fermo sulla comoda sedia del cinema risulta praticamente impossibile. Davvero incredibile che “Diaz” possa circolare così liberamente, senza il minimo divieto e tutto questo nel paese della censura e della falsa informazione, ma è giusto, giustissimo così, tutto il mondo deve sapere, per non dimenticare una delle più grosse vergogne italiane dai tempi delle stragi di stato, da Piazza Fontana (1969) a Bologna (1980). Ed è solo un miracolo che non sia finita come a Reggio Emilia nel 1960, sotto il reazionario governo Tambroni, quando le cariche della polizia contro i manifestanti lasciarono 5 morti sull'asfalto. Ma cosa successe in realtà  nella notte del 21 luglio 2001 a Genova?

 

Il film ce lo spiega con una serie di flashbacks ripetuti, e con un’attenzione per i particolari davvero encomiabile, alternando immagini in alta definizione ad altre più amatoriali in un puzzle nel quale ogni pezzo alla fine trova la sua giusta collocazione. Circa 300 poliziotti in assetto di guerra fecero  irruzione nella scuola Diaz, tra le 23 e mezzanotte, con la scusa, palesemente inventata, che lì si trovassero i famigerati black blocks. Non contenti di aver visto il povero Carlo Giuliani brutalmente ucciso da un loro collega carabiniere, pensano che per rendere memorabile il G8 di Genova occorre qualcosa di più clamoroso. Adducendo come scusa un finto accoltellamento di un agente e un assalto a una vettura della polizia cercarono di crearsi un movente, disseminando falsi indizi ovunque a cominciare dalle due famose molotov, messe nella scuola ad arte per far passare da criminali i pacifici dimostranti. Le sequenze che Vicari dedica al momento del brutale (eufemismo) pestaggio all'interno della scuola resteranno nell'immaginario collettivo per tutta la vita.

 

DiazQualcuno ha parlato di macelleria messicana, ma nessuna definizione può rendere giustizia a tutto l'accaduto. Abbiamo ricordato in brevi flash due film che parlavano della dittatura argentina dei '70,  "Garage Olimpo" (Marco Bechis, 1999) e "La Notte delle matite spezzate" (Hector Olivera, 1986), ma entrambi impallidiscono quasi al confronto, pur finendo assai più tragicamente di questo. Venendo al puro aspetto cinematografico, perché è anche di questo che bisogna parlare, Vicari sfugge molto bene alla trappola della pellicola-documentario, donandoci un film vero e proprio, con grande spiegamento di comparse multinazionali davvero all'altezza, gli stessi poliziotti sono ben interpretati da attori molto ben calati nel ruolo. Fa bene Vicari a non proporre volti famosi, ad eccezione di Claudio Santamaria e di Elio Germano, quest'ultimo  assolutamente secondario nella storia, in modo da concentrare l'attenzione dello spettatore sulla storia, di gran lunga più peculiare.

 

Da segnalare la scena in cui Santamaria stesso, il caposquadra dei poliziotti, a fine aggressione, con grande ipocrisia chiede scusa alla ragazza tedesca con un "I'm sorry", accertandosi al tempo stesso se qualcuno è rimasto ucciso. Il regista per narrare la storia si è attenuto agli atti dei vari processi che si sono svolti in seguito, conclusisi con 25  poliziotti condannati, che, ci ricorda il film alla fine, non sono stati mai sospesi dal servizio. La più grande sospensione della democrazia nel dopoguerra  così Amnesty International ha definito l'irruzione alla Diaz. Gran parte del film è stato girato in Romania perché dalle nostre parti molti non ne volevano sapere di essere coinvolti nella lavorazione del film. Le critiche all'incompiutezza di Diaz le troviamo fuori luogo, in fondo in due ore di proiezione come pretendere di parlare di tutto: se si vuole rileggere la cronistoria completa dei fatti c'è internet, questo fondamentalmente rimane un film.

 

Carlo Giuliani, la Diaz e che dire poi del terzo atto: le torture sudamericane alla caserma di Bolzaneto? Il reato di tortura non è contemplato dal nostro codice penale, permettendo fatti come quelli della sunnominata caserma. Poco altro resta da aggiungere, soltanto ribadire che film come Diaz o Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana  sono assolutamente necessari e fondamentali, così come lo erano stati a suo tempo i vari “Muro di gomma di Marco Risi (1991) o “I cento passi dello stesso Giordana (2000), pellicole scomode ma che  fanno riflettere su una realtà su cui molti vogliono chiudere gli occhi: fa male assistere ad immagini forti e ripugnanti come quelle di Daniele Vicari. "Diaz violento?’" dice il pm Enrico Zucca, uno dei  magistrati presenti ai processi, "guardate che è stato molto, ma molto peggio".

Ricardo Martillos

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