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6 Settembre 2013

Franco D'Andrea Traditions and Clusters

2013 - El Gallo Rojo

Franco D AndreaQuesto speciale sul pianista e jazzista italiano FRANCO D'ANDREA del critico jazz e scrittore Luciano Viotto, che ci pregiamo vantare tra i nostri collaboratori, prende spunto dall'attualità del programma-sezione jazz dell'edizione 2013 di un prestigioso festival italiano torino-milanese, MITO Settembre Musica, e dalle note di sala dei concerti di D'Andrea curate dallo stesso Luciano Viotto. 

 

 

Franco D'Andrea: 50 anni di jazz a MITO Settembre Musica 2013

 

Il programma jazz di MITO Settembre Musica 2013, il festival che si svolge fra Torino e Milano, presenta un progetto dedicato a Franco D'Andrea, dove il pianista e compositore meranese (1941) ripercorre le tappe e i diversi contesti delle sue ultime vicende artistiche, con l'incontro di artisti straordinari, quale degna celebrazione di 50 anni di carriera. Il progetto è titolato "Traditions and Clusters", in programma al Teatro Regio di Torino, si sviluppa in due concerti, in programma al Teatro Regio di Torino, domenica 8 settembre 2013. La Parte I (ore 17) prevede l'esibizione di D'Andrea in piano solo, o in duo con il batterista olandese Han Bennink, con il trio, insieme al clarinettista Daniele D'Agaro e al trombonista Mauro Ottolini (miglior artista jazz italiano al Top Jazz 2012 di Musica Jazz), in duo con il trombettista statunitense Dave Douglas (eletto quale miglior trombettista nel Critics Poll 2012, l'annuale referendum della rivista statunitense Down Beat), o in quartetto, con Andrea Ayassot (sassofoni), Aldo Mella (contrabbasso), Zeno De Rossi (batterista).mito L'incontro di D'Andrea con Han Bennink, in duo, è una prima mondiale assoluta: mai prima d'ora, i due artisti si sono esibiti in concerto, potendo così esprimere la loro immensa cultura musicale, così ricca di intrecci e di visioni. Il  concerto delle ore 21 (Parte II) vede protagonisti il sestetto di D'Andrea (con Ayassot, D'Agaro, Ottolini, Mella e De Rossi), con ospiti Han Bennink e Dave Douglas. Il concerto di Milano, martedì 10 settembre, al Teatro Manzoni, vede protagonisti il sestetto di D'Andrea con il trombonista Mauro Ottolini  il clarinettista Daniele D'Agaro, Andrea Ayassot (sassofoni), Aldo Mella (basso), Zeno De Rossi (batterista), con ospiti il batterista olandese Han Bennink e il trombettista statunitense Dave Douglas.

 

"Traditions and Clusters"

 

Con «Traditions and Clusters» quali storie ci racconta Franco D'Andrea?  Sono messaggi che partono da lontano, fusi in un presente e già proiettati nel futuro con sottili fili di note, prima racchiusi e poi slegati per meglio esprimersi. La luce e il suono, la delicatezza della forza resa con misurato equilibrio sono le alchimie che il maestro di Merano (1941, poi milanese dal 1976) ci rivela quale sintesi di un percorso artistico quanto mai fecondo che parte da tracce antiche: prima polistrumentista (clarinetto, soprano e tromba) poi pianista autodidatta che non insegue la tecnica ma la musica nella sua essenza più intima. Il jazz (tutto) degli anni cinquanta, così gravido di linguaggi cool, hard bop, free, svela a D'Andrea ragazzino le sue radici più profonde con Louis Armstrong e Kid Ory e poi con Ellington, Monk, Lennie Tristano e Ornette Coleman. Se ne innamora profondamente, sognando franco d'andrea traditions and clustersesperienze quale componente del  front-line in una dixieland band. Le (sue) montagne, le Dolomiti, («sono come sculture e girandoci intorno si scoprono sempre nuovi particolari.») gli aprono orizzonti diversi: i portici di Merano e di Bologna (in jam con Lucio Dalla e Pupi Avati), a Roma (negli Studi Rai di via Asiago con Nunzio Rotondo prima, poi con Gato Barbieri e Steve Lacy) o nelle gallerie del centro di Milano (dove Lennie Tristano lo ascolta nella penombra di un club).

 

La tastiera del pianoforte è una conquista lenta, i suoi riferimenti sono chiusi in una manciata di artisti (Bud Powell, Thelonious Monk, Lennie Tristano e Bill Evans). Come la nebbia che si sposta, lambisce le rocce, ecco gli orizzonti per diverse avventure (Modern Art Trio; Perigeo) o nuovi linguaggi espressivi con il pianoforte. I suoi sono percorsi e discorsi svolti e avvolti nella coltre rassicurante ma non appagante della storia e della cultura, senza urti né collisioni; quando gli altri si sentono attratti da nuove correnti o dall'ultima eco (Coltrane, il Miles elettrico, il pop jazz di oggi), Franco non si adagia, è la sua natura. Un primo lungo capitolo si chiude per lui alla fine degli anni Settanta, quell'andare quasi a strappi o correndo, e poi all'improvviso, fermarsi, fiatare, guardare altrove: «Avevo una gran confusione dopo quel primo periodo della mia vita stracolmo di emozioni, con cambiamenti anche molto marcati di stile, di ambienti frequentati. Non ero sicuro della direzione da prendere per la mia musica... se mai fosse nata una mia musica.», come afferma.

 

Franco D'AndreaSubito avverte l'esigenza di guardarsi dentro: è il discorso in piano solo con "Es" o "Dialogues with Super Ego" (1980, Red Records) o dell'ultimo lavoro, "Today" (2012, El Gallo Rojo). Trent'anni di ricerca continua e rigorosa: D'Andrea esplora tutta la storia del jazz, incontrando la musica europea e contemporanea del Novecento e la musica poliritmica dell’Africa nera, giungendo ad un approdo fermo ma che è sempre un nuovo punto di partenza verso altre mete, come l'idea del tempo che nasconde sempre nuovi territori, aperto alle sperimentazioni. Il suo pianismo è l'essenza dell'improvvisazione, l'innovazione della tradizione, dove la composizione è quasi una combustione spontanea; e poi i "clusters": piccoli capolavori di sintesi, grumi di note costruite sulla capacità di calamitarsi a vicenda, come l'esplodere in lapilli.

 

Le sue esecuzioni sono la sintesi dove la sorpresa è dietro ogni nota, quasi nascosta, o quando si rivela in un diluvio programmato, in una successione infinita di richiami. D'Andrea rifugge atteggiamenti caricaturali, possiede il senso della libertà in una solitudine spontanea, non possiede la nefasta propensione all'imitazione ibrida, con tic e riff o ritorni in scena con tip-tap o inchini franco d'andrea todayperfettamente riusciti: allusioni, visioni, senza trilli, neppure exhibition (mai i talloni sulla tastiera, o ignorando tricoteuses, o femmes fatales…). Il maestro di Merano non resta immobile, sarebbe un'irriverenza verso il jazz: lui vagabonda tra una sintassi e l'altra, liberamente, corre da fermo, mentre attorno si rincorrono obbedienze alle "mode", a invocati passaggi mediatici. In «Traditions and Clusters» emergono le idee forza di Franco D'Andrea, con raffinata semplicità. Un affresco sonoro che spazia dal ragtime all'avanguardia, un disegno dalle tinte tenui e aspre, il frutto di una ricerca continua, la via maestra di Franco D'Andrea.

 

 

Luciano Viotto

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