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9 Ottobre 2018

Rip It Up The Story Of Scottish Pop

2018

Museo Nazionale, Edimburgo (Scozia):  22 giugno - 25 novembre

 

IMG_0723-1Rip It Up and Start Again. La canzone con la quale, nel 1983, gli scozzesi Orange Juice dovevano passare dallo status di gruppo relegato a un culto locale, a stelle di prima grandezza del pop britannico. Non andò proprio così. Quel brano accattivante ma già troppo leggerino per i fans della prima ora vendette bene, ma si perse in mezzo al proliferare di proposte ben più adatte al grande pubblico che in quei mesi caratterizzarono quella che venne definita la seconda british invasion. Per gli Orange Juice fu inevitabilmente l’inizio di una rapida discesa, tanto che per i non appassionati di new wave britannica - e beninteso fuori dalla Scozia - il loro nome è considerato niente più di una meteora. 

 

“Strappalo e rifallo ancora”, diceva letteralmente il titolo di quel brano, che anni dopo venne preso come spunto da Simon Reynolds per intitolare il suo dettagliatissimo saggio sulla new wave, a simboleggiare la capacità di una scena musicale, nel volgere di pochi anni, di cambiare e rinnovarsi continuamente. Dalle nostre parti, dove gli Orange Juice sono scivolati innocui tra una puntata di Popcorn su Canale 5 e una in tarda serata di Mister Fantasy sulla Rai; non è un caso se quel libro è stato pubblicato con il titolo, più diretto, di “Post-Punk” (2005). 

 

La Mostra

 

Ora quel titolo, con malcelato e comprensibile orgoglio nazionale, intitola un’interessante mostra di cimeli e memorabilia musicali che tiene banco da giugno e fino a novembre 2018 nel Museo Nazionale di Edimburgo. E’ curioso che proprio Simon Reynolds, nel suo “Retromania” (2010), consideri la diffusa tendenza alla musealizzazione uno dei segnali negativi dell’attuale fase di stasi e del costante guardarsi indietro del rock. Se mostre come questa sono sempre più frequenti, dipenderà forse da quella necessità (che IMG_0720-1fa molto ‘classic rock’), che abbiamo sempre più di catalogare, di posizionare ogni singolo artista, fenomeno, disco, nell’ambito di quello che lo stesso giornalista inglese apostrofa, con tono un po’ irridente, ‘il grande manifesto del rock’. 

 

Catalogare il pop e il rock scozzese non è cosa da poco, trattandosi per chi viene da fuori, di una scena che è sempre stata vista come una sorta di costola periferica dell’Inghilterra. Nelle sale in cui è allestita la mostra è infatti difficile individuare un filo conduttore che passa dagli albori del rock’n’roll di Lonnie Donegan (non chiedete “ma chi è?”, da queste parti la sua Rock Island Line nell’evoluzione del r’n’r è importante quanto Rock Around The Clock!), alla scena folk-revival degli anni ‘60 (John Martyn, Bert Jansch, ma anche la Incredible String Band), dimenticate le un po’ tamarre band hard rock anni ‘70 (Alex Harvey Band, Nazareth), fino ai classici del pop anni ‘80 (Simple Minds, Ultravox, Annie Lennox), per arrivare ai nostri giorni (Franz Ferdinand e poco più, in effetti). 

 

Va detto che il legame degli artisti rappresentati con la Scozia è talvolta un tantino tirato per i capelli. Non si spiega altrimenti l’inclusione degli AC/DC, ricordati con la loro It’s A Long Way To The Top (If You Wanna Rock’n’Roll), in ragione del bizzarro arrangiamento di cornamusa, strumento che, per le vie del centro di Edimburgo, risuona in effetti a ogni angolo (un vero tormento, dopo i primi 10 minuti). E se Rod Stewart è in effetti solo in parte scozzese (essendo oltretutto nato in Inghilterra, non sono cose con cui si scherza qui), perché rinunciare a esporre una delle sue caratteristiche sciarpe di lana, con le quali si esibiva ai tempi dei Faces

 

Come si sarà già capito, il livello di interesse dei cimeli esposti, è variabile. L’impressione è che si sia dato un  certo spazio a certi artisti, solo perché magari di altri, altrettanto importanti per la scena nazionale, non si è riusciti a procurare niente di valido da esporre. IMG_0722(1)-1Si spiega difficilmente altrimenti l’assenza di nomi come Donovan o Belle & Sebastian. A colmare i vuoti ci pensa un fornitissimo juke-box che permette ai visitatori di scegliere tra un notevole assortimento di brani appartenenti a oltre cinquanta anni di musica del posto. Una parete abbellita con decine di copertine di LP ci ricorda, colmando altre più o meno grandi mancanze e con inclusioni talvolta un po’ forzate (che c’entra un album di Alan Parsons? Possibile che basti l’avere prodotto il disco più noto dello scozzese Al Stewart?), come qui si siano prodotti non pochi classici che, magari da fuori, vengono considerati a torto come inglesi. 

 

Nelle teche dedicate ai singoli artisti e posizionate in ordine grosso modo cronologico, si ha l’occasione di osservare da vicino fotografie d’annata, ritagli di giornale, poster, biglietti d’ingressi ai concerti e talvolta, anche abiti di scena e strumenti. Gli appassionati del beat bay-city-rollers-on-loan-from-private-collectionse della prima psichedelia britannica apprezzeranno lo spazio dedicato ai Poets. Oltre a un 45 promo e a altri cimeli su carta, viene esposta una pettorina in classico stile edwardiano, secondo il look (simile a quello dei Kinks) seguito dalla band al tempo e appartenuto al leader George Gallacher. Procedendo verso il decennio successivo, impossibile non notare i variopinti e francamente un po’ ridicoli abiti appartenuti ai Bay City Rollers, tentativo locale – di successo, per una breve stagione - di replicare in epoca glam un fenomeno alla Beatles. Musica-spazzatura certo, ma anche una bella cartolina dell’epoca. 

 

IMG_0726Molto interessante è lo spazio dedicato alle band gravitanti intorno alla scena dell’etichetta Postcard. Nomi come gli stessi Orange Juice, ma anche Aztec Camera, Josef K, scaldano il cuore agli amanti del pop e qui le memorabilia non mancano. A conferma del fatto che in fondo si trattava di una scena numericamente ristretta e formata da – allora – ragazzi che in fondo erano anche amici tra loro, viene esibita una chitarra appartenuta sia ai Josef K che a Edwyn Collins degli Orange Juice. Scorrendo lo sguardo tra le teche si passa agli spazi dedicati a formazioni quali Jesus & Mary Chain e Primal Scream (ancora foto, poster, t-shirts indossate dai membri dei gruppi). 

 

Per chi ormai ha superato i 40 anni (il visitatore tipico di una mostra del genere) è impossibile non indugiare con nostalgia di fronte all’impermeabile indossato da Midge Ure degli Ultravox nel video di Vienna. Siamo agli inizi degli anni ‘80 e i ricordi IMG_0719(1)dei visitatori, non solo del posto, sono senza dubbio legati alla lunga stagione dei video-clip. E qui gli organizzatori della mostra hanno avuto gioco facile per toccare i nervi più sensibili della memoria del pubblico, mettendo sotto vetro oggetti e abiti utilizzati dagli artisti in filmati promozionali visti e rivisti centinaia di volte. In rassegna si possono quindi osservare da vicino i vestiti dei Wet Wet Wet (oddio!), Proclaimers - poco da ridere, la loro I’m Gonna Be (500 Miles) è un evergreen, da queste parti - di Fish dei Marillion, o dei Deacon Blue. Dei Simple Minds, altra gloria scozzese, sono esposti due oggetti lontanissimi nel tempo: un nastro del loro primo demo-tape e a fianco, la chitarra con i titoli scritti a mano dei loro maggiori successi, ritratta nel loro recente disco “Acoustic” (2016). In un’altra sala i visitatori possono soffermarsi a vedere su un grande schermo, una carrellata di filmati dal vivo, con registrazioni anche recenti che rendono impietoso il passare del tempo, di gran parte degli artisti scozzesi presenti nella mostra, pur con una certa predilezione per gli anni ‘80 e ‘90. 

 

I tempi più recenti sono rappresentati con nomi meno interessanti per il grande pubblico (chi fuori dai confini locali conosce King Creosote?). Non manca però un abitino sexy indossato dalla cantante dei Garbage, così come dei robot utilizzati in un video dei Franz Ferdinand, ad oggi l’ultima zampata del pop scozzese. 

 

simple-minds-guitars-on-loan-from-simple-mindsUna menzione la merita il book-store del museo, davvero ben fornito, non solo di merchandise originale degli artisti presenti nella mostra (e qui dei Belle & Sebastian ci sarebbero un bel po’ di cose da acquistare), di libri musicali (ancora sulla Postcard Records, ma pure i libri citati all’inizio di Simon Reynolds), ma anche di un bel reparto di dischi, in vinile e CD, con un’ampia e affatto scontata selezione di titoli rappresentativi della Scozia in musica. Ben fatto anche il catalogo fotografico della mostra, mentre il relativo CD offre una scaletta meno intrigante, con un’ennesima Don’t You Forget About Me dei Simple Minds! 

 

Filippo Tagliaferri

Video

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