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11 Gennaio 2013

AA.VV. PER GABER… IO CI SONO

2012 - Fondazione Gaber - Sony Music

giorgio gaberINTRO

Operazione difficile e pericolosa quella di accostarsi alla monumentale opera di Giorgio Gaber col dovuto rispetto che si deve a un gigante della cultura italiana. Gli appassionati del grande artista milanese sanno già tutto sull’uomo, che a dispetto dei facili successi, fece il cammino inverso (in direzione ostinata e contraria) dalla vasta popolarità televisiva degli anni sessanta, a una dimensione teatrale più ristretta ma senz’altro ben più congeniale e soprattutto svincolata dalle pastoie di una censura becera e bigotta. Cantante e chitarrista rock and roll già con Celentano negli anni cinquanta, simpatico e garbato entertainer televisivo e poi cantore popolare delle borgate e delle periferie milanesi, fino all’approdo a quel teatro canzone da egli stesso ideato che gli permise di mettere in musica, in poesia e sotto forma di monologhi, il malessere, le difficoltà di vivere, gli slanci creativi e rivoluzionari e le delusioni del singolo individuo e di un paio di generazioni.

 

Ora, nel decennale della sua scomparsa, (anche se la pubblicazione è del novembre scorso), la Fondazione Gaber gestita dalla figlia Dalia Gaberscick, propone questo progetto su tre CD dove ben cinquanta artisti della musica italiana molto eterogenei tra loro rendono omaggio all’inarrivabile Maestro (tanto vale dirlo subito) cimentandosi con altrettante sue canzoni, molte delle quali registrate dal vivo nelle serate del Festival Teatro Canzone Giorgio Gaber  annualmente organizzate dalla fondazione.  E se, cronologicamente, il primo cd ripercorre le tappe delle canzoni più facili e più “commerciali” fino alle prime prove della svolta impegnata, il secondo propone quelle della maturità e del periodo anarcoide più rabbioso e intenso, per arrivare, con il terzo dischetto, ai brani più recenti e immediatamente precedenti la scomparsa di questo grande protagonista della storia della musica e del teatro italiano. Come in ogni opera antologica di qualsivoglia natura, luci e ombre si alternano durante il lungo ascolto dei tre CD che si spingono quasi fino a quattro ore di musica.

 

 

CD 1

giorgio gaberDiciamo subito che nel primo CD le luci sono di gran lunga superiori alle ombre. Forse per la semplicità di quelle prime canzoni ancora poco “interpretate”, se mi si passa il termine azzardato, i protagonisti se la cavano quasi tutti egregiamente a cominciare da un Renzo Arbore che pur non essendo un grande cantante, rende Non arrossire uno slow spazzolato di jazz davvero garbato e seducente. Buono anche il Baglioni de Le strade di notte per voce e piano solo, così come ancora voce e piano solo vedono un magnifico Enzo Jannacci dilatare e rallentare all’inverosimile una ballata rock indiavolata come Una fetta di limone, rendendola atipica e rarefatta. Simpatica e piacevole l’operazione di Cesare Cremonini che si appropria del monologo, in origine solo recitato, L’orgia, rivestendolo con un tangaccio da balera, così come Enrico Ruggeri rocketizza una ballata quale Un’idea e Luca Barbarossa Dylanizza I cani sciolti con atmosfere american country. Spezzerei poi una lancia a favore del vituperato Gigi D’Alessio che si muove bene nella struggente Oggi che non son più innamorato, così come i Baustelle (Latte 70) e il giovane Dente (Pieni di sonno).

 

Buona anche la prova di Emma che alla prese con uno dei più famosi brani simbolo di Gaber, La libertà, si destreggia validamente con cotanto inno. E parlando ancora di luci ci metterei quelle sfolgoranti di Cristiano De Andrè (Buttare lì qualcosa) e soprattutto di Sergio Cammariere che ancora con solo pianoforte e voce raggiunge il mio top personale di questo primo CD con la tenera e intimistica Due donne. Le ombre sono molto meno, ma ci sono: J Ax non convince pirotecnicizzando oltremodo un’intelligente ballata come Eppure sembra un uomo, Nada, che pure apprezzo da tempo nella sua carriera solista, è in palese difficoltà nel rendere vocalmente il sarcasmo e la cattiveria de Le mani ritornando appunto al discorso sulle interpretazioni insuperabili di Giorgio Gaber impossibili da emulare che si ripropone in Com’è bella la città, canzone importante per il suo testo giorgio gaberanticonsumistico e ironicamente anticittadino che in questo caso non ha nessuna ragione di esistere, eseguita esclusivamente strumentale per piano solo da Paolo Jannacci. Tra le luci e le ombre poi, come succede, esiste il crepuscolo, ovvero il senza infamia e senza lode di cui fanno parte Ranieri, Morandi, Vecchioni, Daniele Silvestri e altri che ripropongono pedissequamente il repertorio Gaberiano senza aggiungere o modificare nulla rendendo l’operazione premiabile per l’omaggio ma inducendo l’ascoltatore a rimpiangere le versioni originali. Tra queste la mitica Torpedo blu che però ci permette, se non altro, di riascoltare la voce di Lucio Dalla.

 

 

CD 2

Quando il testo di Com’è bella la città fu inserito anni fa nelle antologie scolastiche, Giorgio Gaber non ne fu del tutto contento. Quella canzone semplicemente letta, senza musica e senza ascolto, a detta dell’autore, poteva essere addirittura fuorviante e sembrare “realmente” un’apologia del bel vivere in città. E’ una prova che possiamo fare tutti: leggerla soltanto e capire quanto Gaber avesse ragione. L’ironia, il sarcasmo, la presa in giro e i mali della vita cittadina si rivelano solo durante l’ascolto, con il crescendo infuocato della parte finale e con il cantato precipitoso e affannato come il correre senza sosta di chi vive nelle metropoli industrializzate. Tutto questo preambolo per parlare ancora di interpretazione, fulcro imprescindibile della personalità di quel genio attoriale che in uno stesso monologo riusciva a passare dalla battuta comica alla drammaticità più intensa e commovente nel giro di dieci secondi spiazzando lo spettatore e inchiodandolo alle sedie. Si capisce quindi quanto sia impossibile competere col Maestro e come sia possibile che un’invettiva feroce come Quando è moda è moda sulla bocca di un non-cantante come Franz di Cioccio diventi una filastrocca sfilacciata senza la primigenia forza e senza mordente, non avendo neppure l’ausilio della stessa PFM che la riveste di un arrangiamento di maniera, senza personalità che chiunque altro avrebbe potuto fare.

 

gaberE dividendo la lavagna in due, in questo secondo disco che propone i brani dell’impegno civile, della critica sociale e delle delusioni, tra i più cattivi ci metto Gianna Nannini che uccide la splendida L’attesa privandola immotivatamente della bellissima musica e inspiegabilmente recitandone (recitare?) soltanto il testo in modo assolutamente inutile e approssimativo. La stessa cosa accade anche a Ligabue che rovina il monologo Qualcuno era comunista nato per la dimensione live con pause e inflessioni vocali che nelle versioni originali strappano applausi ad ogni “affermazione di comunismo” mentre il cantautore emiliano velocizza il tutto barbaramente, aggiungendo “di suo” uno scialbo ritornello con chitarra acustica che si ripete inutilmente ogni tanto e che denota un limite recitativo che non riesce ad esplicarsi per tutta la lunga durata del brano. Ma per fortuna c’è anche l’altra metà della lavagna, quella dei buoni: Giampiero Alloisio, collaboratore e compagno d’avventure artistiche di Gaber di lunga data, è pressoché perfetto nella collaudatissima filastrocca antitelevisiva La strana famiglia, che da tempo esegue e porta in concerto.

 

Jovanotti interpretando Si può, riesce persino a non far rimpiangere l’originale con una versione spumeggiante e sentita, Biagio Antonacci offre un bel ritratto de I soli e Ivano Fossati e Davide Van De Sfroos, forse per affinità elettive “cantautorali” propongono rispettivamente due belle versioni di Illogica allegria e di Pressione bassa. Menzione di merito anche per Morgan (Benvenuto il luogo dove) mentre non si può dire lo stesso di Max Pezzali che di uno splendido e acuto brano come Il comportamento propone una versione vocalmente monocorde, poco incisiva e poco espressiva. Tra i senza infamia e senza lode il buon Finardi che pur cimentandosi con un brano senz’altro nelle sue corde, I reduci, ne offre una versione un po’ troppo di maniera e senza spina dorsale, la banalissima Vanoni de Le elezioni e Mietta alle prese col bluesaccio Isteria amica mia. A gaberconclusione i due top del peggio e del meglio: la superflua e precettata Patti Smith che recita Io come persona ovviamente in inglese annoiando per circa otto inutili minuti (e mi duole dirlo poiché chi mi conosce sa quanto ami questa donna) e per contro la straordinaria Paola Turci che fa assolutamente sua C’è un’aria, altro brano antitelevisivo, in versione live, solo con chitarra acustica, con una partecipazione emotiva da brividi.

 

 

CD 3

E il cimento di questi coraggiosi gladiatori che si confrontano col gigante Gaber si conclude con il terzo CD che si apre con il pollice alzato per Marco Mengoni che si prodiga al meglio con la non facile Destra-Sinistra. Dito in alto anche per gli Articolo 31 che vestono Io non mi sento italiano con un completino ska simpatico e delizioso. Pollice verso invece per i Negramaro (Quando sarò capace d’amare) assolutamente di maniera e con la voce di Sangiorgi sempre più fastidiosa, come quella di Mario Biondi che non rende merito al blues de Il corrotto, mentre sono tra i migliori dell’arena Rossana Casale (Il desiderio) e Samuele Bersani (Il conformista). Laura Pausini alle prese con uno degli ultimi capolavori, Non insegnate ai bambini, è emotivamente partecipe e sentita e rimanendo nelle quote rosa Syria è ottima in Se io sapessi, forte, oltre che della sua bella interpretazione, di uno dei pochi arrangiamenti creativi tra jazzy e pop, in questa trilogia dove gli accompagnamenti sono ridotti al minimo (quasi esclusivamente chitarra acustica o pianoforte). Pollice alzato anche per Andrea Mirò (Il luogo del pensiero) e Noemi (Il grido). Senza infamia e senza lode Pacifico (Chissà) e Mango (Verso il nuovo millennio) e ultimo, ma in realtà primo, Franco Battiato, guarda caso anch’egli antico collaboratore digaber Gaber (suoi gli splendidi arrangiamenti dell’album Libertà obbligatoria), che fa assolutamente suo quel bellissimo canto sull’ego(ismo), La parola io con una partecipazione straordinaria.

 

 

Conclusione

Al di là dell’altalenante valore interpretativo dei partecipanti questo cofanetto è comunque un’occasione per ascoltare cinquanta magnifiche canzoni, apprezzare l’intelligenza superiore di Giorgio Gaber che promana da quei testi talvolta rabbiosi ed aggressivi, talaltra intimistici e personali o addirittura umoristici ma che sono sempre lucidissime riflessioni sul mondo, sulla vita e sugli uomini. Aggiungo che io ho ascoltato la versione standard che consta dei tre CD in questione, ma esiste una versione deluxe dove oltre a esserci tre brani in più (Roberto Cacciapaglia: Non arrossire, Ron: Quando sarò capace di amare e Mina: Lo shampoo), ci sono due DVD e un libro (nell’edizione limitata). Inoltre esiste anche  la versione scaricabile in download digitale che contiene ulteriori quattro brani: Giulio Casale: La festa, Paolo Benvegnù: Io e le cose, Bandabardò: L’odore, Luca Carboni: Far finta di essere sani. In questa, comunque vastissima, panoramica manca il capolavoro Io se fossi Dio, forse ancora troppo disturbante anche ai giorni nostri e mancano le stupende canzoni del periodo che io chiamo “metafisico”, quelle introspettive e proiettate verso l’inconscio ispirate a Gaber dalle letture di Borges e di altri autori del fantastico, forse troppo “difficili” da proporre al grande pubblico. Magari chissà, in un prossimo futuro.

 

Maurizio Pupi Bracali

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