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17 Aprile 2014 , ,

The Rolling Stones Anniversari: i 50 anni del primo album

1964 - Decca - London

rolling stones primo

* “The Rolling    Stones” - DECCA - 17 Aprile 1964  

"England's Newest Hit Makers” - LONDON      RECORDS - 25 Maggio 1964

 

Era il 17 Aprile del 1964 quando, nel Regno Unito ed in Europa, vide la luce il primo LP di quella che, per i successivi cinquant'anni, sarà considerata la più grande band di rock'n'roll al mondo. Nove cover, un brano di Mick Jagger e Keith Richard(s) – Keith tolse la s dal suo cognome fino al 1969 per atavici dissapori col padre - e due canzoni scritte dalla band con un piccolo aiuto di un tale che rispondeva al nome di Phil Spector: il disco fu registrato ai Regent Sound Studios (per motivi economici – erano fra gli studi meno cari di Londra) nel periodo compreso fra il 3 gennaio e il 25  febbraio 1964 con la geniale supervisione produttiva di Andrew Loog Oldham. La tracklist è la quasi fedele riproposizione dei pezzi che i ragazzi proponevano, incessantemente, durante l'infinita serie di concerti tenuti dal '62 (anno della loro nascita come band) sino ad allora. E' un album praticamente live in studio. Pochissimi i missaggi. Modalità che gli Stones hanno, in linea di massima e per quanto possibile, conservato anche per i dischi successivi. Dalla casa/rifugio di Edith Grove, dove Keith trascorreva in maniera monacale/maniacale ore ed ore a studiare i dischi di Robert Johnson, Elmore James e dell'adorato Chuck Berry, attraverso i quasi trecento concerti l'anno su e giù per la Gran Bretagna stipati in un vecchio e piccolo pulmino guidato da Ian Stewart, gli Stones erano finalmente giunti al primo disco.

 

rolling_stones_1964_disco_gettyL'immenso intuito di Oldham era già stato premiato. Dice Keith: “I Beatles erano già visti come i bravi ragazzi dai capelli un po' lunghi... a noi cosa restava da fare se non essere quelli sporchi e cattivi?”. E ben presto ogni esibizione della band fu pura estasi per gli adolescenti dell'epoca e puro incubo per le forze dell'ordine, per i genitori e per i gestori dei locali che comunque guadagnavano fior di danari grazie ai sei (comprendendo Ian Stewart) barbari londinesi. I Rolling Stones volevano solo essere “la migliore r'n'b band di Londra” agli inizi. Alexis Korner con la sua Blues Inc. (nelle cui fila militava Art Wood, fratello maggiore di Ronnie che nel '75 diede nuova linfa ed infinita allegria alla band) dominava la scena underground britannica. John Mayall con i suoi Bluesbrakers (un giovanissimo EricRolling-Stones Clapton alla chitarra e successivamente un Mick Taylor appena sedicenne a sostituirlo – che dal '69 al '74 segnò indelebilmente con la sua classe immensa il suono degli Stones) era l'alfiere del Blues Revival. Fu lui a far conoscere i Padri del blues alla gioventù inglese. Ovviamente i Beatles, con la loro genialità pop. Nella sfavillante Londra dei primi anni '60 ecco i Rolling Stones. Il loro r'n'b si fondeva col suono del Delta e con i ritmi sincopati ed allora nuovissimi ed eccitanti del rock'n'roll. Non quello, sì sensuale, ma  edulcorato di Elvis, bensì quello sporco e apertamente sessuale di Chuck Berry.

 

I ragazzini del secondo dopoguerra non aspettavano altro. Un cantante dalle labbra oscenamente carnose e dall'ugola di carta vetrata, due chitarristi: uno biondo, bello come un dio, ed uno bruno e dal volto e dal suono taglienti come un diavolo. Una musica fuori dagli schemi fino ad allora conosciuti. Dal Crawdaddy al Marquee fino ai Regent l'escalation divenne incontrollabile. La copertina di Nicholas Wright li ritrae in una splendida rolling-stones-london-61foto senza nome né titolo (un azzardo per quei tempi). I pezzi: (get your kicks on) Route 66 di Bobby Troup. Il più devastante inizio possibile per il migliore dei dischi possibili. Anche Muddy Waters ne incise una versione, ma quella degli Stones resta insuperata. Un r'n'r travolgente. Ancor'oggi fra le cose migliori incise dalla band. I just want to make love to you di Willie Dixon: già nel titolo uno schiaffo al perbenismo imperante. Mick tenta e ammalia con la sua voce ancora acerba, ma già spudoratamente sensuale. Honest I do: ecco il blues... Jimmy Reed. Il suono dei neri d'America portato ai bianchi figli dell'Eldorado d'Oltremanica. E poi I need you babe di Bo Diddley, meglio conosciuta dai più come Mona.  Now I've got a witness, Little by little, in cui compare come autore Phil Spector affiancato allo pseudonimo Phelge (Nanker/Phelge fu usato nei primi anni come marchio di fabbrica per indicare i pezzi alla cui stesura partecipava l'intera band).  

 

Si gira (va) il disco: ancora blues con la leggendaria I'm a king bee di Slim Harpo, ma più conosciuta nella versione del reverendo Moore cui gli Stones attingono a piene mani. Poi ecco Chuck Berry: Carol è la quintessenza dell'anima di Keith e quindi degli Stones. “Il suo giocare con gli accordi, coi riff e con gli assoli mi ha sempre affascinato!”. Ascoltate la versione dastones brivido tratta da “Get Yer Ya Ya's Out!” per goderne appieno. E' il rock'n'roll... e tutto ciò che ne è derivato. Niente lustrini. Solo una Gibson 335 e tanto sesso. Da qui forse possiamo distinguere le due anime della band, comunque indissolubili nella loro grandezza alchemica come dimostra ampiamente Tell me (you're coming back). Primo pezzo ufficiale a firma Jagger/Richard(s).  Struggente ballata cui, nei decenni successivi, pagheranno dazio molteplici hits che lastricheranno d'oro la storia del rock e non solo. Infine il trionfo del rhythm and blues con Can I get I get a witness, portata al successo da Marvin Gaye nel 1963 con le Supremes, You can make it if you try di Gene Allison/Ted Jarret e l'immortale Walking the dog di Rufus Thomas. Questo disco fu numero uno per molto tempo e in varie occasioni per N.M.E, Disc e Melody Maker. Il tutto per 51 settimane. Gli Stones poi sbarcarono negli Stati Uniti e per promuoverne il tour: il titolo del disco venne cambiato, ma non di molto. 

 

Uscito negli U.S.A. per la London Records il 29 Maggio 1964 vedeva la copertina con il nome del gruppo sormontata dalla scritta “England's newest hit makers” e Not fade away di Bo Diddley (E. McDaniel) in scaletta al posto di Mona (I Need You Baby) dello stesso autore: entrò in classifica nel luglio del '64 raggiungendo l'undicesimo posto nella classifica di Billboard e rimanendovi per 11 settimane. L'America bigotta e puritana del 1964 li odiò.Hitmakers “Hanno i capelli più lunghi dei Beatles!”. I ragazzi li amavano. “Non si lavano e dicono parolacce”. I ragazzi li amavano ancora di più. Keith ricorda che l'attesa di ognuno di quei concerti fu un incubo e che non vedevano l'ora di tornare in Inghilterra. Ma la pietra era stata lanciata. Era l'America della segregazione razziale e sessista. Gli Stones sbarcavano nella terra dei loro padri musicali e quell'America li respingeva. Per loro era incredibile. La stessa Amerika che bruciò i dischi dei “buoni” Beatles. La stessa Amerika che nel 2006 li abbraccia con Clinton e i suoi amici mentre Keith si defila. La stessa Amerika che ha avuto o ha in classifica pezzi che inneggiano alle gang. La stessa Amerika dei predicatori miliardari. La stessa America. Ma quel disco, quegli Stones sono gli stessi. Miliardari anch'essi, ma sinceri; lo hanno sempre detto (anche se non ci abbiamo mai creduto): è solo rock'n'roll!!!

Maurizio Galasso

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