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9 Marzo 2014 , ,

AIR POCKET SYMPHONY

Uscita: 6 Marzo 2007 - Virgin/Astralwerks/Source

air_pocket_symphonyAtmosfere sognanti, sintetizzatori analogici e composizioni eteree: questi gli ingredienti principali di un disco degli AIR, il duo francese (Jean Benoit Dunckel e Nicolas Godin) che nel 1998 riuscì con il suo album d’esordio “Moon Safari” a strabiliare il pubblico con un’originale miscela di pop francese, di scintillante elettronica e di appassionato chill out. Con questa loro quarta opera, a 9 anni di distanza, dimostrano che la loro vena artistica è tutt’altro che esaurita: gli architetti del pop riescono ancora a stupire, rinnovando la loro pelle ad ogni disco senza per questo rinunciare alla loro identità.“Pocket Symphony” è forse il loro album più delicato, più gentile, un’opera che esige e merita attenzione, un’escursione di 43 minuti attraverso paesaggi sonori intrisi di synth pop e richiami orientali. Visivamente questo cd può essere descritto come una lenta passeggiata nel giardino di un paradiso giapponese. Non a caso le canzoni che si susseguono nel disco rievocano tutti gli elementi che caratterizzano l’ultima traccia del loro precedente album“Walkie talkie”, Alone in Kyoto: leggere brezze elettroniche, aromi orientali e scrosci di onde pervadono il lavoro. Il sipario del disco si apre con i legnetti riverberati di Space maker, così soffici da sembrare delle gocce d’acqua che cadono ritmicamente in un vaso colmo. 

 

Gli strumenti entrano uno alla volta, come gli attori di un’opera, la sensazione che si ha ascoltando questa canzone è quella di essere spettatori di uno spettacolo teatrale. Dopo questa presentazione l’album entra nel vivo con l’arpeggio di piano di Once upon a time: qui la dinamica sale di intensità e la voce di Jean Benoit Dunckel, sostenuta dai morbidiair strati che tessono i vari glockenspiel e flauti, fa la sua prima apparizione con il suo inconfondibile falsetto. Finora l’equilibrio “zen” che il disco vorrebbe trasmettere funziona bene, gli effetti sono ridotti al minimo e colpiscono soprattutto le percussioni, che vengono snellite in modo da non rovinare la stabilità delle melodie. Sorprende per questo l’improvviso e forse inopportuno cambio di atmosfera provocato da One hell of a party, la canzone più sofferta dell’album, dove compare la voce tormentata di Jarvis Coocker, l’ex cantante dei Pulp. L’arrangiamento sorretto quasi esclusivamente dal koto suonato dal produttore Nicolas Godin diventa scarno, al limite del fastidioso, e i buoni propositi delle prime due canzoni vengono rovesciati in un inaspettato vuoto d’aria di profonda malinconia. Ma è solo un momento di debolezza: dopo 4 minuti, infatti, subentra con rinnovato vigore Napalm love, che insieme alla semplice ma efficace Mayfair Song, crea un uno-due che ridona armonia e ordine al disco.

 

Da lì in poi ogni canzone diventa un elegante gioco dove poter sfoggiare classici arpeggi di chitarre acustiche (preponderanti in Left Bank), tappeti di synth sui quali possano ballare pacati accordi di pianoforti (come nella suadente Lost message) ed esperimenti concettuali (come quelli di Time Capsule) che ipnotizzano e massaggiano la mente. Il picco creativo lo troviamo al centro del lavoro: Mer du japon, la canzone più ballabile del disco, si staglia luminosa ed offre uno scorcio, seppur da lontano, delle onde del grande airoceano pacifico. Il testo, l’unico in francese dell’intero album, si basa su una semplice linea “J’ai perdu la raison dans la mer du Japon” (“Ho perso la testa di fronte al mare del Giappone”), che viene ripetuta a mo’ di mantra per tutto il brano, con un ritmo incalzante che può ricordare una versione molto rilassata degli Hawkwind più spaziali. Pocket Symphony è un disco piacevole all’ascolto, omogeneo ed intimistico, che entra nei cuori senza grandi clamori, senza l’ausilio di bassi distorti o effetti speciali tipici di molta elettronica moderna. Un opera improntata ad una rivisitazione di sonorità anni ’70, filtrate attraverso un’affascinante visione modernista, arricchita da suggestioni orientali e da un gusto per le atmosfere acustiche che si dimostra sempre equilibrato e ben strutturato.

 

Lorenzo Berretti

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