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9 Giugno 2012

Emerson Lake & Palmer “EMERSON LAKE & PALMER”

1970 - Island Records

Correva l’anno 1970 …

emerson lake and palmerCorreva l'anno 1970, e stavano succedendo veramente un sacco di cose di quelle che cambiano il corso della musica. Eventi talmente epocali come purtroppo oggi non ne vediamo più. Il funambolico tastierista Keith Emerson aveva già spiazzato il mondo della musica dimostrando da alcuni anni, con The Nice insieme a Brian Davidson e Lee Jackson, che nel rock poteva esistere un power-trio senza chitarra e che un uomo dal supremo dominio dei tasti bianchi e neri poteva imporsi come frontman spettacolare più di un chitarrista o di un cantante, salendo in piedi sull'organo, bruciando bandiere, piantando coltellate tra i tasti. Il bassista/cantante Greg Lake aveva stupito e spiazzato anche lui il mondo della musica, ma in modo ben più intellettuale, partecipando nel 1969 a quel capolavoro dei King Crimson intitolato “In the court of the Crimson King” che detterà gli stilemi-chiave del nuovo progressive rock.

 

Carl Palmer, infine, poteva già vantare un'ottima carriera con la sua militanza negli Atomic Rooster, band dominata da un altro geniale ed eclettico tastierista, Vincent Crane, troppo presto scomparso. Questi tre Grandi Nomi abbandonano i tre gruppi di appartenenza e fondano una nuova band per la quale i critici, dato il blasòne degli artisti citati, lanceranno per la prima volta il termine di “Supergruppo”. La band di Emerson Lake and Palmer non ha nemmeno bisogno di un nome, e così è. I tre si presentano autocitandosi e debuttano al Festival sull'Isola di Wight insieme a nomi del calibro di Jethro Tull, Miles Davis, Jimi Hendrix... Proprio con Hendrix pare che i tre avessero musicalmente “flirtato”, tanto che si favoleggiava che la band si sarebbe chiamata HELP con la H a simboleggiare l'acronimo proprio del mitico Jimi! Ma troppi galli di cotanta caratura in un pollaio non avrebbero mai potuto convivere (e infatti, negli anni a venire, risulterà critica anche la coesione fra i tre membri storici) e così gli ELP si stabilizzano in trio.

 

 

EMERSON LAKE & PALMER: SIDE A

Per il loro album di debutto “Emerson Lake & Palmer” i tre artisti si affidano a un tecnico del suono che fa della pienezza sinfonica e della solennità timbrica la sua cifra stilistica: si tratta di Eddie Offord, che negli anni lavorerà anche ai migliori album degli Yes (altri Giganti del Prog con tutte le maiuscole del caso!) e nel 1984 produrrà persino quel piccolo, ingiustamente misconosciuto capolavoro sinfonico che fu “The Sentinel” dei Pallas. Nel disco di debutto del trio Eddie Offord sfodera soluzioni tecniche per l'epoca strabilianti, coneddie_offord_ suoni che ne fanno un disco almeno di dieci anni avanti al suo tempo. La facciata A si apre con Barbarian, una rilettura in chiave-rock dell'Allegro Barbaro di Bela Bartòk. I compositori russi e dell'Est Europeo a cavallo tra fine '800 e primo '900 sono sicuramente i massimi ispiratori di Keith Emerson, che nel corso della sua carriera li omaggerà spesso in termini di citazioni, riproposizioni, riarrangiamenti. Chi aveva amato The Nice, fin dalle prime note di quell'attacco furibondo capisce subito che il concetto è lo stesso, ma sono i suoni ad essere totalmente diversi. L'organo asciutto, percussivo e jazzy è diventato più cupo e distorto, il basso nella sua massiccia presenza sembra quasi una chitarra e colma i vuoti lasciati dall'assenza di quest'ultima, il drumming è di una possanza degna di bands come Deep Purple o Led Zeppelin.

 

Ma dopo questo primo strumentale, aperto con l'organo ma che si evolve con il piano, per far sentire tutta la maestria del tocco classico di Keith, le atmosfere cambiano di colpo con Take a pebble. In questa lunghissima e delicata ballad la voce calda e suadente di Lake riporta proprio ai King Crimson di Moonchild e di I talk to the wind ed il genio Emerson ha una trovata di sapore 'impressionista' davvero particolare per aprire il brano: con il piano a coda tiene giù i tasti senza però premerli, per osservare dentro la coda armonica il posizionamento dei martelletti e, in base a questo riferimento, ne va aELP emerson pizzicare le corde con le unghie, ricavandone dei suoni quasi degni del crimsoniano chitarrista Robert Fripp. Nelle lunghe aperture strumentali godiamo della poliedricità del pianista, che divaga mettendo in campo senza pudori tutte le sue influenze, dal folk al jazz, dalla classica all'avanguardia. Chiude la facciata Knife Edge, forse il brano più hard di tutta la carriera degli ELP, dove ovviamente però il riff chitarristico è affidato ancora all'impatto dell'organo Hammond. Ma per mischiare ancora le carte Emerson inserisce tra i riff distorti una vera e propria fuga di sapore barocco dalle sonorità neoclassiche.

 

 

SIDE B

Nel lato B, ancor più che nel lato A, il producer Eddie Offord decide di osare e mette in campo tutto il suo mix di eclettismo e conoscenze tecnologiche. La facciata si apre con la suite strumentale The Three Fates, tre movimenti dedicati alle tre Parche, divinità crudeli dell'Antica Grecia che tessevano nei loro fili i destini degli Uomini. La prima parte, Clotho (sottotitolo: Royal Festival Hall Organ), vede Keith abbandonare l'Hammond e sedersi a un vero organo liturgico, in perfetta solitudine, senza alcun supporto dei due comprimari. Qui i riverberi messi in gioco artificialmente da Offord danno all'ascoltatore la sensazione di trovarsi davvero dentro una chiesa, con risultati timbrici per l'epoca sorprendenti. La seconda parte, Lachesis (sottotitolo: Piano Solo) è forse il momento più alto di tuttoELP 1970 l'album, la più struggente e commovente partitura pianistica scritta da Emerson in tutta la sua carriera. Dopo un bridge di organo da chiesa a fare di nuovo da legante, inizia la terza parte, Atropos (sottotitolo: Piano Trio) in cui i tre musicisti finalmente si ricompattano per il gran finale. Il brano è in questo punto dominato da un'incedere percussivo di sapore quasi latin-jazz, percussioni sudamericane, ancora abilmente riverberate da Offord, ronzano e frusciano dando un sapore esotico al tutto.

 

Ma ecco che il micidiale tecnico del suono piazza un vero colpo di mano: in uno stop del trio un piano verticale decisamente ragtime si avvicenda per pochi secondi a quello a coda, e con un abile gioco di volumi e di riverberi, sembra quasi che passi, scappi via e si allontani! Sono cose che oggi qualsiasi software di produzione musicale fa al semplice tocco di un tasto, ma che all'epoca richiedevano ore di lavoro, tagliando e incollando con forbici e colla le bobine e giocando su molle, nastri, cursori! Basterebbero questi pochi secondi a determinare la caratura del disco, ma invece sembra quasi che le magie siano solo all'inizio. Assurda, infatti, la successiva strumentale Tank in cui Greg Lake, che nei Crimson si era di certo messo in luce come cantante, molto più che come bassista, sfodera capacità imprevedibili sulle 4 corde seguendo in perfetti unisoni il funambolico Emerson in tutte le sue follie! Il timbro squillante e aperto sui medi del basso Rickebacker di Lake offre al brano un'intelaiatura precisa, pulita e ineccepibile, mentre Keith si gioca a sorpresa una nuova carta: l'inizio con il clavicembalo elettrico, simile a un Clavinet, ma dal suono molto più barocco.

 

carl-palmerE Carl Palmer? Palmer, co-autore di questa traccia, ci regala un solo di batteria indimenticabile, al termine del quale succede davvero qualcosa di magico: Offord filtra l'ultima rullata attraverso gli effetti del flanger e del chorus trasformandola in un suono sintetico e fantascientifico ed ecco che... il tempo cambia, l'incedere si fa lento, maestoso, e il capo-branco indiscusso sfodera la sua ultima arma: il Minimoog! Keith Emerson fu amico personale di Robert Albert Moog e insieme costruirono e progettarono quello che fu il padre di tutte le tastiere elettroniche moderne. Qui il nostro Von Frankenstein permette finalmente alle sue Creature di urlare con tutta la loro strana voce in faccia al mondo: ben due Minimoog, uno tarato su frequenze bassissime scandisce un riff da paura, mentre l'altro, al contrario sparato al massimo sull'acuto, viene spremuto da Emerson in una galoppata solistica come forse mai egli stesso saprà ripetere. Uno dei brani più belli di sempre degli ELP e del rock progressivo più in generale. Provate a immaginare come dovessero sentirsi quegli adolescenti del 1970, che fino ad allora non avevano mai ascoltato nulla del genere, di fronte a tanta magniloquenza!

 

Il disco si chiude con Lucky Man, dove Emerson e Palmer sembrano mettersi in disparte per consentire a Lake, con le sue molteplici sovraincisioni, di regalarci una breve, ma commovente e dolcissima ballad. Il cantante si prodiga anche alla chitarra acustica per l'arpeggio su cui si regge il brano e all'elettrica per un breve, semplice ma riuscito solo greg lakepieno di gusto. Emerson e Palmer riappaiono giusto per il finale, con piccole rullate qua e là e una marcetta solista affidata ancora al Minimoog con un suono che diventerà motivo di ispirazione, e talvolta persino di plagio, da parte di tanti tastieristi prog-rock degli anni a venire. La mia autopsia di “Emerson Lake & Palmer” finisce qui, sperando sia stata sufficientemente approfondita ed esauriente, ed abbia convinto i veterani che mi hanno letto ad andare a riscoprire questa pietra miliare del progressivo inglese; gli ignari giovani neofiti … beh quasi quasi li invidio perché – se vorranno – andranno ad ascoltarsi per la prima volta sei meraviglie soniche che ignorano l’implacabile usura del tempo che passa e che spesso rende obsoleti album ed artisti.

 

 

Alberto Sgarlato

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