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9 Novembre 2019

The Kinks Arthur (Or The Decline And Fall Of The British Empire) – 50th Anniversary Edition

2019 - BMG Records

L’anno 1969 (Annus Formidabilis per quanto riguarda le uscite discografiche rock) si era rivelato al mondo solo da pochi giorni quando Ray Davies, principale testa pensante e creativa di The Kinks, band britannica con già sei album dalle alterne fortune alle spalle, ricevette nel mese di gennaio un’inaspettata richiesta. La casa di produzione televisiva inglese Granada Television era in procinto di realizzare un docu-film, come si direbbe oggi, sull’Inghilterra Vittoriana di fine ‘800 e chiese a Davies di occuparsi della colonna sonora. Ci piace pensare che tale richiesta fosse dettata dalla forte carica di britannicità insita nella musica dei Kinks, ma, al di là di congetture personali, la richiesta fu accettata di buon grado da un Ray Davies in parte deluso per il non eclatante successo commerciale dell’ultimo album prodotto “The Kinks Are The Village Green Preservation Society” (1968). La predisposizione di Davies di dedicarsi a quel progetto di colonna sonora, è l’atto di nascita di uno degli album più importanti, seminali e sfortunati del rock inglese, nel quale viene espresso il concetto di concept album, cioè di un’opera musicale dal contenuto unitario che racconti una storia in diversi capitoli musicali così come da sempre era accaduto nella musica lirica. Nonostante la riconosciuta importanza dell’album (forse più a posteriori che nel suo presente, specialmente in Inghilterra) qui comincia il periodo in cui la sfiga diventa leggenda, come dice Guccini quando piove ai suoi concerti all’aperto. Ray Davies scrive una dozzina di ottime canzoni, in alcune delle quali c’è anche lo zampino del fratello minore Dave, chitarrista della band, ma la TV che gli aveva commissionato la colonna sonora non riesce a realizzare il film e il progetto svanisce e affonda più della sinistra italiana negli ultimi anni. Ma quelle dodici canzoni ci sono, sono buone e tutte insieme raccontano la storia di un certo Arthur Morgan, installatore di moquette, che nel dopoguerra inglese si arrabatta e si dibatte in un’Inghilterra ferita, colpita dalla crisi economica e dalle contraddizioni sociali di quel periodo. Per il protagonista, Davies si ispirò a suo cognato, Arthur Anning, che, proprio in seguito a quelle precarie condizioni del Regno Unito, decise di emigrare in Australia (Australia è uno dei brani migliori del disco con una bella coda strumentale con chitarra solista sostenuta e punteggiata dai fiati, piuttosto inusuale all’epoca) con la moglie Rose, sorella dei fratelli Davies, alla quale Ray era particolarmente affezionato e che ne visse il distacco dolorosamente. E se quelle dodici canzoni sono musicalmente pervase dall’aria che tira all’epoca (leggi Beatles) e da quella britannicità tipica dei Kinks che li ha resi unici e senza eguali nel panorama inglese, i testi biografici, riguardanti Arthur, dipingono un quadro a diverse tinte a seconda dei brani dell’album; tipo l’ironia sottotraccia della deliziosa Shangri-La nome dell’abitazione dove Arthur conduce e trascina la sua mediocre e quotidiana esistenza di periferico cittadino inglese, quando sappiamo invece che quel nome venne attribuito dallo scrittore inglese James Hilton nel suo romanzo “Lost Horizon” del 1933 (“Orizzonte Perduto”, poi anche film di Frank Capra del 1937) a una sorta di luogo mitico e immaginario dove si vive in pace e serenità. Ma oltre l’amaro sarcasmo, nei testi di Davies c’è la nostalgia dei tempi passati, migliori e spensierati, come nella sommessa e delicata Young And Innocent Days e nella classicissima e ritmata Victoria che apre l’album, mentre un antimilitarismo convinto si evince in Yes Sir, No Sir, che si apre con rullate soldatesche per poi sfociare in una seconda parte barocca punteggiata dai fiati. La speranza di una vita migliore è esplicata nella già citata Australia e ancora l’antimilitarismo si fa strada nella triste Some Mother’s Son dedicata alla morte del fratello di Arthur in guerra. Le difficoltà economiche del popolo britannico nel dopoguerra, i suoi sacrifici e la forza morale dello stesso, sono invece descritte rispettivamente nella beatlesiana e apparentemente scanzonata She’s Bought A Hat Like Princess Marina e in Mr. Churchill Says, (con delizioso assolo di chitarra centrale) mentre Driving è una leggera e piacevolissima ballata ancora influenzata dai Beatles a fronte di Brainwashed che sembra addirittura un’outtake delle prime produzioni di Frank Zappa. Ancora due deliziose canzonette vanno a terminare l’ottimo e sfortunato album che dopo essere stato concepito in gennaio dopo molte traversie fu pubblicato nell’ottobre 1969: Nothing To Say ancora una volta piuttosto McCartneyiana e la filastrocchesca e la divertente Arthur che titola e chiude l’album. Tra le sfortune legate a questo disco, oltre al fallimento del film di cui doveva essere la soundtrack, vi furono l’incomprensione iniziale da parte del pubblico inglese, la mancata pubblicazione del primo album solista del fratellino Dave Davies (“A Hole In The Sock Of”) registrato nei “ritagli di tempo” tra le session di “Arthur”, le divergenze tra i membri della band che non consentirono mai un’esecuzione live dell’opera, ma soprattutto la pubblicazione di “Tommy” degli Who di soli pochi mesi prima (maggio 1969) che tolse il primato ai Kinks di Ray Davies come autori del più importante concept album della storia del rock, anche se a dirla tutta i Pretty Things di “F.S. Sorrow” (1968) e i più misconosciuti e dimenticati Nirvana con “The Story Of Simon Simopath” addirittura del 1967, rivendicano, oseremmo dire giustamente, il primato assoluto per gli autori di concept album. Oggi, a mezzo secolo esatto dalla pubblicazione, “Arthur” l’album controverso dei Kinks che per volere di Ray Davies in quell’occasione abbandonarono il rock duro e puro, beat e garage, per muoversi su coordinate più canzonettistiche tra vaudeville, barocchismi, filastrocche e melodie accattivanti, viene riedito in un voluminoso box set contenente quattro CD, quattro singoli, un libro di sessantotto pagine con interviste ai protagonisti, foto, poster e gadget vari, oltre, ovviamente, a una marea di bonus tracks tra versioni mono, stereo, prove, rarità e remix, per un totale di ottantuno tracce. Ciliegina sulla torta (ciliegiona per gli appassionati dei fratelli Davies) è la ricomparsa inaspettata del primo, e mai precedentemente pubblicato, album di Dave Davies registrato parallelamente ad “Arthur”che, dopo cinquant’anni, ricuce il buco nel calzino del presupposto titolo originale per diventare "The Great Lost Dave Davies Album". Meglio tardi che mai.

Voto: 9/10
Maurizio Pupi Bracali

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