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26 Ottobre 2016 ,

Roy Buchanan THE TELECASTER WIZARD

2016

royUno dei casi limite della storia del rock blues quello legato al chitarrista Roy Buchanan, musicista dotato di qualità tecniche inusitate e di un formidabile feeling, sempre ai margini del business musicale e anche delle cronache, probabilmente per il suo essere l'antidivo per eccellenza, con il suo look anonimo e un pò dimesso e il suo carattere difficile e schivo. Un uomo complesso con il problema dell'alcool e con  una certa tendenza alla depressione, fardelli che lo accompagneranno sino alla tragica scomparsa. Apprezzatissimo dagli altri musicisti ebbe sempre un pubblico di fedelissimi, pronti ad entusiasmarsi per i suoi blues sempre originali e spesso drammatici. Qualcuno lo definì “Il più grande chitarrista sconosciuto della storia del rock”, una definizione un po' amara ma realistica. Per la prestigiosa rivista Guitar Player è nella Top 50 dei migliori chitarristi rock e blues.

 

BORN IN ARKANSAS

 

Originario di Ozark (Arkansas) si trasferì in California nell'area di Bakersfield, dove il padre, predicatore pentecostale, avviò un attività agricola. La musica, si sa, è un elemento fondamentale  per la predicazione religiosa negli USA e le influenze black si fecero presto sentire, anche per la passione della madre Minnie per il gospel. Introiettata la passione per MI0001329932il blues, il giovane Roy si diede a suonare la steel guitar, poi passò alla sei corde tradizionale e a soli 15 anni si ritrovò a suonare professionalmente con The Johnny Otis R n' B Revue. Nel 1958 conobbe il musicista canadese Dale Hawkins (l'autore di Suzie Q) a cui prestò il suo acerbo solismo cristallino per la registrazione di My Baby presso gli studi Chess di Chicago. Lasciato Dale, suonò il basso con il cugino Ronnie Hawkins: nella band di questi un altro giovane chitarrista con un futuro brillante, Robbie Robertson; registrò con loro una versione di Who do You Love ? che ebbe un notevole successo per  vendite e passaggi radiofonici, poi la band di Hawkins, resasi autonoma dal suo leader, diventò The Band, uno dei punti fermi del roots rock americano 60/70. RB se ne andò per la sua strada solitaria, era l'inizio dei 60', e intraprese un intensa attività come sideman, suonando con musicisti come Freddie Cannon, Merle Kilgore e molti altri. In seguito RB lasciò il mondo della musica professionale e si mise a fare il barbiere. Continuò a suonare con una misconosciuta Danny Denver Band saltuariamente facendosi apprezzare molto nell'area del Maryland e della Virginia; spostatosi nella zona di Washington D.C. iniziò quell'attività solista che poi lo rese (quasi) famoso, era l'inizio degli anni 70.

 

GLI  ANNI D'ORO

 

Nei 60' registrò alcuni singoli, il primo fu Mule Train Stomp per l'etichetta Swan, dove diede dimostrazione di tecnica e originalità, introducendo il pinch harmony, tecnica chitarristica particolare di sua invenzione che lo distinse  e ne fece un maestro del blues bianco. Fu un inventore di suoni nuovi che lasciarono di stucco il suo pubblico. Nel '68 vide un concerto di m_35Hendrix, con il suo sound travolgente a base di wha wha ed effetti vari, si rese conto che non avrebbe mai potuto raggiungere quei livelli di teatralità e spettacolo: si concentrò sul raffinare la sua tradizionale tecnica finger picking, raggiungendo step veramente estremi. La sua chitarra, la Fender Telecaster del '53, sarà una fedelissima compagna di vita, che caratterizzerà il suo personaggio e il suo sound. Fu influenzato da “Are You Experience” di Hendrix e un suo amico, il fotografo John Gossage, nel backstage di un concerto di Jimi per un servizio fotografico cercò di convincere questi ad andare il giorno dopo in un locale chiamato Silver Dollar dove si esibiva Buchanan, ma Jimi preferì uscire con una ragazza. Quella sera RB suonò cover hendrixiane come If a Six Was Nine e Hey Joe, (che poi sarà butchun classico dei suoi concerti) nella speranza, delusa, di una sua presenza; fu comunque sempre un grande estimatore di Hendrix. Negli anni 60 formò gli Snakestretchers con cui conquistò una notevole fama locale nella zona di Washington D.C. e nel '69 fu contattato per fare un provino con i Rolling Stones, ma rifiutò, non volendo allontanarsi dalla sua famiglia e dal suo ambiente. Nel 1971 registrò il suo primo lp: “Butch & The Snakestretchers”, un disco autoprodotto frutto di una home recording, un lavoro grezzo che fu per molti anni una rarità, fu ristampato negli anni '80 (Habla Label Italia 1986). Firmò MI0000616898un contratto con la Polydor e partorì il suo primo prodotto discografico professionale: “Roy Buchanan” (Polydor 1972), alla voce il cantante Chuck Tilley; RB cantava, ma la sua voce era piuttosto lontana da quelle tipicamente blues, era pigra e particolare, ma in alcuni casi assecondò benissimo il suo blues. Nel disco alcuni brani che saranno dei classici: Sweet Dreams di Don Gibson, le sue The Messiah Will Come Again e lo splendido slow Pete's Blues, dove la Fender Telecaster, nella sue mani, raggiunse vette di drammaticità assoluta. Un ottimo esordio.

 

LA PRODUZIONE DISCOGRAFICA POLYDOR

 

MI0000616900A seguire “Second Album” (Polydor 1973), che nelle intenzioni di RB doveva essere un live album, ma la Polydor si oppose, forse per problemi di budget, ne venne fuori un altro ottimo lavoro in studio, dove la band che accompagnava il leader erano gli originali Snakestretchers. Nella tracking list dell'lp classici del blues come After Hours e Treat Her Right e song a firma Buchanan come lo splendido Five String blues e Tribute To Elmore James sino alla funkeggiante I Won't Tell You No Lies. Questo LP rimane il maggior successo commerciale per RB, con 500.000 copie vendute. Lo stile particolare con cui Buchanan suonava la sua Telecaster del '53 si fece sempre più riconoscibile e guadagnò sempre maggiori consensi tra il pubblico, che fece di MI0000616904RB uno dei grandi virtuosi della 6 corde elettrica. Nel '71 gli fu dedicato un documentario tv per la rete WNET Television, che fu intitolato “Introducing Roy Buchanan” ma sottotitolato “The Best Unknown Guitarist In The World”; questa definizione gli rimase appiccicata addosso sino all'ultimo e continua ad essere utilizzata anche oggi per definirlo. Poi registrò: “That's What I Am Her For” (Polydor 1973, foto a destra), disco che contiene alcuni brani top del repertorio di RB: Hey Joe (In Memory Of Jimi Hendrix), una delle più belle cover di questo classico degli anni '60 di Billy Roberts, poi Roy's Bluz slow blues torcibudella che lanciò RB nell'olimpo a 6 corde con gente come Eric Clapton e Duane Allman, Please Don't Turn Me Away scritta con il cantante Billy Price, che sarà il vocalist preferito da RB per molti anni, Rodney Song brano dalla vena MI0003521632southern rock, un altro lavoro riuscito che ebbe un relativo successo a livello di vendite. Nel 1974 l'ultimo album in studio per la Polydor “In The Beginning” (Polydor 1974, foto a sinistra), guest in alcuni brani la horn section dei Tower of Power, con risultati ancora molto interessanti: Rescue Me, I'm A Ram, il tradizionale CC Rider, l'epica Wayfaring Pilgrim e You're Killing My Love di un altro gigante della chitarra blues, Mike Bloomfield, sino alla jazzata Country Preacher dal repertorio di Joe Zavinul. A chiudere il periodo Polydor: “Live Stock” (Polydor 1975), registrato alla Town Hall di New York, nella band oltre a Billy Price, Malcom Lukens alle tastiere e la sezione MI0000616883ritmica Harrison/Foster. Un live tra i più belli degli anni '70, travolgente e suonato da Dio, aperto da Reelin and Rockin di Chuck Berry, Further Up On The Road brano chitarristico per eccellenza, Roy's Bluz con la voce sgraziata di RB ad introdurre il brano, per poi svilupparsi in una agonia elettrica piena di sofferenza, una versione di quasi nove minuti da brividi, poi I'm A Ram e I'm Evil di RB a concludere questo magnifico disco. Nei 4 anni ('71-'75) la qualità dei lavori Polydor fu molto alta, certo fu poco premiata da vendite importanti e Buchanan rimase ai margini del rock business.

 

GLI ANNI 80, ATLANTIC RECORDS E ALLIGATOR

 

MI0000360896Dopo l'uscita di “Rescue Me”, antologia ancora per la Polydor, BD passò all'Atlantic Records con cui pubblicò “A Street Called Straight” (Atlantic 1976), disco che vide la partecipazione di ospiti illustri come i fratelli Brecker ai fiati, Billy Cobham alla batteria e Eddie Brigati ex Young Rascals alle voci. Il disco non riuscì benissimo ma vendette bene, ricevendo un disco d'oro, tra i brani la cover di If I Six Was Nine di Hendrix e una song dedicata a Jeff Beck; seguirono: “Loading Zone” e “You're Not Alone” (Atlantic 1977/1978), due dischi discreti, il primo con una lunga versione di Green Onions di  Booker T. & Memphis Group e con  ospite Stanley Clarke; il secondo si segnalò per la brillante cover MI0000659514di Down By The River di Neil Young e poco altro. Il parziale fallimento di questi due lavori portò RB ad un periodo di ripensamento e di pausa. Dopo tre anni di stop nel 1981 Buchanan firmò con l'Alligator di Bruce Iglauer, etichetta blues specializzata, allora lanciatissima, dopo il successo dei dischi di Hound Dog Taylor e Koko Taylor, che sfruttò in quegli anni il momento di rilancio del blues e della black music in generale. Nel frattempo uscì solo sul mercato nipponico lo splendido: “Live in Japan” (Polydor Japan 1978), cronaca di un concerto giapponese del 1977 (dal vivo RB dava sempre il meglio di sè), Soul Dressing di Booker T., Hey Joe, Blues Otani, Sweet Dreams sono alcuni dei titoli di questo LP, con un RB scatenato alla ricerca di suoni impossibili, accompagnato in modo MI0002020473perfetto dal tastierista Malcom Lukens e soci. Con l'Alligator Buchanan produsse tre lavori: “When a Guitar play the Blues”, “Dancing on the Edge” e “Hot Wires” (Alligator 85, 86, 87): i tre dischi pur segnando un ritorno al blues più tradizionale non raggiunsero l'eccellenza del primo periodo, nel secondo la presenza della rauca voce del cantante/armonicista texano Delbert Mc Clinton in alcuni brani, diede qualcosa in più al disco, tre buoni lavori che non fecero gridare al miracolo. Da segnalare, come testimonia la copertina del secondo disco, il passaggio di RB dalla Fender Telecaster alla Gibson Les Paul, avvenimento quasi “storico”. Furono le ultime registrazioni di Roy Buchanan.

 

LA TRAGICA MORTE

 

Roy Buchanan suonò la sua ultima gig il 7 agosto 1988 a Guilford (CT): una settimana dopo fu arrestato per ubriachezza pubblica dopo una lite familiare, a Reston, Fairfax County in Virginia. Dopo poche ore dall'arresto fu trovato impiccato alla grata della finestra della cella, il decesso fu ufficialmente definito un suicidio dalle autorità, ma la presenza di 51qlEFITxiLalcune ferite sospette sul corpo di RB ha fatto dire ad amici e parenti del chitarrista che in realtà sia “stato suicidato” per  un “eccesso di zelo” da parte della polizia di Fairfax County; d'altra parte le violenze poliziesche negli USA, a distanza di 28 anni da quella tragedia, sono ancora oggi scottante argomento per  feroci polemiche. Roy Buchanan a 48 anni lasciò moglie, 7 figli e numerosi nipoti. E' stato uno dei grandissimi della chitarra elettrica blues, ma non solo perchè il suo repertorio variò dal r' n'r al funk, da sonorità jazzate al country sino alla ballad; maestro di molti “allievi”, ci piace ricordarne uno, Danny Gatton, grande chitarrista virtuoso jazz/rock, anche lui eccelleva con la Fender Telecaster e anche lui tragicamente scomparso, in modo analogo a quello di Roy Buchanan. Dopo la morte di RB sono state pubblicate molte cose inedite, in studio MI0000390363e dal vivo, tra cui l'lp inedito “The Prophet” (foto su a destra), il primo registrato per la Polydor ma mai commercializzato; un lavoro molto interessante dove RB è accompagnato, tra gli altri, da Charlie Daniels, poi eroe del southern rock più intransigente, dal cantante Taz Di Gregorio, per molti anni lead vocal della Charlie Daniels Band e dal bassista Tim Drummond fedelissimo dei C.S.N.&Y.. Anche “American Axe Live 1974” (cd Powerhouse Records 2003) è altamente consigliato. Tutto materiale interessantissimo che può ancora farci apprezzare la tecnica mostruosa ma anche la grande anima di questo grandissimo musicista. 

 

Guido Sfondrini

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