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31 Marzo 2019

Mario Bertoncini Una giornata per l’instancabile ricercatore dell’inaudito

2019

1982_venti_detail                        Mario Bertoncini

 

Ci piace pensarlo come instancabile ricercatore dell'inaudito. Quello di Mario Bertoncini con la musica fu un rapporto davvero irripetibile che merita di essere approfondito e che è doveroso mettere in luce anche al di fuori dell'ambiente circoscritto di studiosi accreditati e di estimatori di area accademica. Il 19 gennaio 2019, all'età di 86 anni, il maestro ci ha lasciati, spegnendosi nella sua residenza toscana a Cetona, nella campagna senese.

Per ricordarlo degnamente nella sua città natale (nasce appunto a Roma, il 27 settembre 1932), nell'ambiente dove ha avuto luogo la sua prima formazione, su iniziativa dell'Associazione Nuova Consonanza, Conservatorio di Santa Cecilia e Fondazione Isabella Scelsi, si è deciso di dedicargli una giornata commemorativa con Tavola Rotonda e Concerto finale con la messa in scena di tre delle sue opere: "Suite '99 Colori", pensata nel 1999 dal maestro in vista delle celebrazioni per il centenario dalla nascita di John Cage, come omaggio al suo innegabile contributo ispirativo nel prepared piano e per l'influenza della sua concezione musicale costruttivista; "Tune" (1965) per percussioni e "An American Dream" (1974) che, come per la partenza, ha chiuso di nuovo il cerchio sul pianoforte. Pianoforte-luogo, pianoforte punto di partenza della creatività e dell'ispirazione che ha alimentato l'intero percorso bertonciniano.

 

Presso la Sala dei Medaglioni del Conservatorio, il suo direttore Roberto Giuliani, ha salutato l'iniziativa e ha introdotto la serie di interventi di numerosi ospiti illustri che hanno offerto ad una sala letteralmente gremita, la loro testimonianza commossa e riconoscente al maestro Mario Bertoncini. Tra i presenti anche la figlia Valeska, Giancarlo Schiaffini, Lamberto Macchi. Moderatori attenti e da sempre vicini al sottobosco romano con le loro imprescindibili pubblicazioni, Daniela Tortora del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli e Gianmario Borio dell'Università degli studi di Pavia/Cremona. Hanno parlato: Nicola Sani (Accademia Musicale Chigiana, Siena), Alessandro Sbordoni (Associazione Nuova Consonanza e Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, Roma), Irmela Heimbächer (Fondazione Isabella Scelsi, Roma), John Heineman, Walter Branchi, Giorgio 1970er_1965_tuneNottoli, Gianni Trovalusci, Dino Villatico, Luigi Maria Sicca (Università degli studi di Napoli Federico II), Chiara Mallozzi, Ingrid Pustijanac (Università degli studi di Pavia/Cremona), Alessandro Mastropietro (Università degli studi di Catania), Pietro Cavallotti (Università degli studi di Torino), Luigino Pizzaleo, Mario Gamba.

 

Ma cosa è stato realmente Mario Bertoncini nelle vicissitudini storiografiche che sono emerse nel dibattito speculativo portato avanti dopo la prima metà del XX secolo? Come si colloca la sua figura del tutto speciale nell'evoluzione peculiare dei linguaggi artistici contemporanei? Ci pare importante allargare la questione anche a tutti coloro che non sono propriamente parte dell'ambiente ristretto e ufficiale della Nuova Musica. Soprattutto per riprendere un passaggio assai interessante messo in luce da Dino Villatico (critico musicale, docente di storia della musica) durante la Tavola Rotonda. I musicisti compositori che negli anni '70 del secolo scorso animarono e diedero nuova linfa all'avanguardia romana - l'affiatato gruppo di Nuova Consonanza di cui Bertoncini fu animatore e protagonista (suonò nel GINC dal 1965 al 1972) - erano aperti e ricettivi a ogni stimolo, a ogni contaminazione e influenza che potesse alimentare la loro ricerca e creatività. La chiave della loro intesa e del loro imporsi tra le pieghe cangianti della storia fu proprio la loro sete di libertà. Una libertà che si alimentava in modo polimorfo e pluridirezionale, guardando al futuro ma senza disdegnare il passato, attingendo a più saperi e più discipline e facendole sempre dialogare. Non può quindi stupire nemmeno il fatto che fu proprio intorno alla cattedra di composizione di Goffredo Petrassi in Santa Cecilia che questo sparuto gruppo di studenti inquieti e poco inclini ad adattarsi ai dogmi e alle rigidità dei canali ufficiali, portò avanti una serie di sinergie, intrecci, confronti vivaci, vitali, veramente rivoluzionari e veramente avanguardistici. A Mario Bertoncini, pianista, compositore, costruttore-inventore, saggista e poeta, si deve riconoscere la capacità di aver dato organicità e sistematicità (e qui ci viene in aiuto l'osservazione arguta di Alessandro Mastropietro) alla complessità degli elementi messi in gioco durante la IstantaneeII_Cremona2011performance. Avere eletto a nuovo paradigma il gesto-suono, il suono-segno, lo spazio luogo inteso come collocazione topografica in cui l'oggetto sonante e l'idea si incontrano, si amalgamano per fare affiorare quel di più che si decontestualizza e trascende in opera d'arte. In questo senso il sapere di Mario Bertoncini ha unito artigianalità, capacità autentica di costruire o denaturare lo strumento forgiato sulla base di un desiderio ardito e ambizioso, la realtà immanente di qualcosa che viene agito, pensato per liberare al fine la visione di un sogno, una forma musicale compulsiva e cogente sempre in divenire. Si può a questo proposito ben comprendere la sua estetica nel suo Ragionamenti Musicali in forma di dialogo: X e XII (capitolo VI di Rime, Objet trouvè. Alcune osservazioni circa l'uso o la lettura delle "sculture di suono", 8 giugno 2011). Bertoncini è inesausto compositore-sperimentatore che attraverso le sue opere vuole arrivare a una rinnovata interdipendenza tra il gesto strumentale e l'evento sonoro. (...Altre cose... Dialogo decimo in quattro giornate, sempre su Ragionamenti Musicali in forma di dialogo: X e XII).

 

Persegue una continuità ininterrotta tra il fare e il sapere, idee e costruzione, interpretazione o ricezione di un'arte che è intrinsecamente ipotesi progettuale continua. Un approccio informale che gli viene appunto dal contatto con il comparto delle arti figurative e dell'avanguardia pittorica romana. Petrassi e il gruppo dei musicisti che gravitano intorno all'associazione Nuova Consonanza sono amici dei pittori e hanno contatti diretti con il vivace e stimolante ambiente artistico di quegli anni. Bertoncini è assiduo lettore di Gillo Dorfles, è appassionato di espressionismo astratto. L'idea di un suono colore che punta su una ricerca timbrica inedita; il suono liquido come Bertoncini 2005_concerto_roma9entità volubile e in continua trasformazione. Da qui si muove la sua speculazione, l'evoluzione del suo pensiero musicale e multimediale. La fluttuazione che tende per sua natura a cancellare la scansione temporale, il parametro tempo/spazio. Bertoncini ha interpretato spesso il repertorio minimalista, da Riley a Cage ma fu anche esecutore poi dimenticato di una versione di "Okanagon" (1968) di Giacinto Scelsi. Allo stesso Scelsi e alla sua opera "Natura renovatur" (1967) in qualche modo guarda il lavoro portato avanti da Bertoncini. Tutto si muove e tutto si ricombina, nascita e morte si susseguono in un eterno ritorno come nel numero 8 scelsiano, come nel suo Il Sogno 101, il movimento è rinnovazione, simbiosi con la natura. La nostra stessa biologia appartiene alla natura e al suo ritmo e in questo senso Bertoncini allestisce delle opere in cui tutti gli elementi sono co-essenziali, nei suoi scritti parla di forma-meccanismo o forma-organismo. L'atto del comporre diventa attività estesa. Progettazione, esecuzione, allestimento, costruzione dei corpi sonanti, organizzazione rigorosa degli spazi di risonanza e presenza di elementi coreutico-gestuali. Il corpo è contiguo al processo sonoro, è collegato alla poetica del suono complesso che contribuisce a estrapolare attraverso l'interazione diretta. Walter Branchi e Daniela Tortora sottolineano l'amore che il maestro aveva per il contatto diretto con i luoghi del cuore. La campagna, le passeggiate all'aria aperta con il suo cane Bravo. Nonostante 439il soggiorno in Olanda (Utrecht) negli anni giovanili e i corsi di musica elettronica presso il C.E.M. sotto la guida di Gottfried Michael Koenig, senza parlare della sua lunga militanza a Berlino, ebbe rapporti piuttosto discontinui con l'informatica e l'elettronica. Fedele e coerente con la propria etica rimase sempre affascinato dalle potenzialità meccaniche degli strumenti, ricorrendo all'elettronica solo al fine di riprendere o amplificare il suono. Nelle sue istallazioni si assiste per lo più a un viaggio onirico e sensoriale in cui la tradizione affiora come in una visione ipnagogica congiungendosi con qualcosa di futuribile e fantastico che è sempre frutto dell'invenzione, dell'esplorazione, della sperimentazione. Gli strumenti 'preparati' e reinventati da Mario Bertoncini sono strumenti acustici come pianoforte e idiofoni ma anche costruzioni eoliche e altre cosiddette 'sculture del suono'.

 

Ci sono poi strumenti da lui inventati come il coreophon, brevettato nell'86 per trasdurre il gesto in suono senza contatti nell'ambito del teatro musicale, e un dispositivo chiamato stabdämpfer, brevettato tra il 1992 e il 1993, pensato per modificare la sonorità degli strumenti ad arco. Tutto il suo armamentario si anima solo e soltanto mediante la gestualità del performer. Il musicista si plasma insieme allo strumento. La complessità del mondo sonoro bertonciniano, dove i segni rimandano a se stessi, dà vita al suo "Teatro della realtà". Con alcune delle sue opere più importanti: "Istantanee", "Solo aus dem Klavierquartett", "Cifre", "Quodlibet", "Scratch-a-matic", Bertoncini travalica la scuola spettrale, il post spettralismo e si orienta verso il più autentico, radicale e credibile cambiamento di paradigma. Lo spettro armonico è solo una parte infinitesimale del mondo sonoro. Il punto di partenza, se vogliamo d'illuminazione, del gesto performativo 2che il maestro mette in atto, è il pianoforte. E lo stesso pianoforte rappresenta anche il punto di ritorno del suo percorso in cui si deposita l'eterno rovello delle questioni aperte tra comporre, eseguire, improvvisare, notare, tracciare. Chiara Mallozzi e Daniela Tortora, nel volume La bottega del suono Mario Bertoncini Maestri e allievi, Editoriale Scientifica, 2017, parlano di un pianoforte/luogo in cui avviene l'incontro e l'evasione tra performer, oggetto-cardine che racchiude il progetto e l'idea in fieri. Virtualmente, ogni gesto diventa una sorta di esplorazione geografica di un luogo immaginario e l'esecutore stesso è chiamato a stupirsi e ad ascoltare se stesso. Bertoncini chiamava l'inciso quel momento particolare e alchemico, sempre occasionale e sempre fuggevole in cui si trova corrispondenza semiologica tra corpo e strumento, performance e composizione, forma e contenuto. L'anima si libera attraverso l'oggetto agito. Nella circolarità e nella concentricità dello spazio tempo si compie l'epifania di un suono cangiante, profondo. Questo è il nuovo di Mario Bertoncini, il suo opus creativo più autentico. Lui è stato il fautore di una poetica umanista dell'informale, ha affidato volontariamente la capacità di generare tensione e forza alla fallibilità e alla precarietà di un gesto corporeo, la sua ricerca è avvenuta per mezzo di una interazione organica viva. Il ready made di duchampiana memoria che libera anima e che fa arte.

«Il suono di Mario nasce dal pianoforte (e vi fa ritorno), giacché è a partire dalle estroflessione dei corpi vibranti all'interno del pianoforte (le corde, naturalmente, ma anche l'intera e mai inerte meccanica) che realizza il suo irripetibile oggetto sonante, un oggetto flessibile, distribuito variamente nello spazio circostante, ma saldamente ancorato alla cassa-madre del piano».

Lettera di Daniela Tortora del 30 gennaio 2016 agli amici del gruppo puntOorg e ripreso nel testo La bottega del Suono.

 

IL CONCERTO

 

52545256_2369685196397176_8952247600614998016_nIl concerto si è svolto nella bellissima sala Accademica del conservatorio. Ci si sofferma solo brevemente nella descrizione dei tre pezzi eseguiti, rimandando per un ulteriore approfondimento a testi più specifici che trattano la complessità della concezione bertonciniana in modo certamente più esaustivo e con maggiore competenza. "Suite '99 Colori" (1999) è stata eseguita da Luisa Santacesaria, allieva del maestro Bertoncini. L'opera rappresenta un ritorno da parte del maestro al pianoforte preparato dopo una pausa piuttosto lunga, dedicata ad altre invenzioni e altre sperimentazioni. Un sunto retrospettivo se vogliamo, una riconciliazione e un approccio arricchito da tutte le acquisizioni maturate nei suoi anni di ricerca. Citiamo in tale proposito le parole stesse di Bertoncini che furono il prologo della composizione: «Il lavoro è costituito da cinque movimenti che vanno eseguiti senza interruzione. Ciascuno di essi è contrassegnato da un colore scelto arbitrariamente, per analogia "non-funzionale" (I: Rosso scuro; II: Verdazzurro; III: Blu; IV: Giallo; V: Verde scuro) ed è basato su procedimenti volti a ottenere suoni continui sul pianoforte - quasi prodotti da strumenti ad arco -, che l'autore ha trovato e dimostrato spesso in pubblico a partire dai primi anni sessanta. Inoltre l'ormai classico prepared piano di J. Cage accompagna contrappuntisticamente lo svolgersi dei cinque movimenti». Gli strumenti usati per sollecitare le corde della gran cassa sono: sagale di nylon annodate direttamente sulle corde gravi del piano, azionate esclusivamente con movimenti delle mani precedentemente strofinate con della pece; un piccolo 'gong eolico'; cunei di ottone incastrati tra le corde e infine una ruota di gomma azionata da un piccolo motore elettrico brevettata dal compositore con il nome "Bertoncini -Rad". L'effetto di questa gestualità produce fasce di suono tenute e continue, un suono cangiante di grande complessità dinamica e di profonda ricchezza armonica. "Tune" (1965) è affidata al trio di percussionisti Zaum (S. Beneventi, C. Cáceres, L. Colombo) e ci riporta senza ombra di dubbio al periodo del Gruppo d'Improvvisazione Nuova Consonanza e al ruolo di percussionista che Bertoncini aveva scelto a dispetto del suo virtuosismo pianistico. Si tratta di un lavoro concepito per piatti sospesi che fa uso di sequenze contrappuntistiche interscambiabili. La grande novità di questa sperimentazione è rappresentata da idiofoni che per mezzo di varie tecniche di sfregamento perdono del tutto la loro idiomaticità fatta di note relativamente brevi e staccate.

 

american_dream"An American Dream" (1974) è stata eseguita dall'incredibile Reinhold Friendl, membro del gruppo Zeitkratzer e profondo conoscitore della tecnica Inside Piano. Il musicista collabora con Bertoncini durante gli anni tedeschi mettendo a punto con lui varie preparazioni e ideando nuovi strumenti ma vanta al suo attivo progetti e lavori con personalità quali: Lee Ranaldo (Sonic Youth), Phill Niblock, Helmut Oehring, Nicolas Collins, Lou Reed, MERZBOW a.k.a., Masami Akita, Radu Malfatti, Bernhard Guenter, Keiji Haino. L'opera in questione di Bertoncini ha una concezione complessa, la sua partitura è composta da ventisei 'cellule' o moduli ritmici scritti in chiave di violino e disposti graficamente in una successione che forma le iniziali K e B. Si tratta di un omaggio al pianista berlinese Klaus Billing e di un richiamo al minimalismo nell'idiosincrasia per la forma e per le funzioni armoniche e per la sua voglia di aprirsi ad una nuova creatività. Il pianoforte è perturbato in due sole corde da un motore elettrico a corrente continua. Vale la pena ricordare che nel 1974, l'anno di composizione del pezzo, Bertoncini fu invitato dal senato di Bonn quale artist in residence del Berliner Künstlerporogramm del DAAD (il Servizio Tedesco per lo Scambio Accademico). Possiamo concludere questa trattazione, per forza di cose sommaria e per forza di cose ascrivibile a una pura indagine dettata da curiosità, ammirazione e stupore più che a conoscenze dettagliate e specifiche della materia affrontata, augurandoci che l'opera di Bertoncini possa essere divulgata per come merita e che molti dei suoi progetti rimasti ancora inevasi siano presto ripresi nel nome di un autentico arricchimento della nostra cultura musicale.

Romina Baldoni

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