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15 Luglio 2013 ,

PJ Harvey A PATTI CON IL DIAVOLO PER PORTARE IL MIO AMORE

1992-2012 - Island Records

PJ HarveyEra dai tempi della grandiosa cantante e poetessa Patti Smith che non ci emozionavamo tanto per una figura femminile. La straordinaria Polly Jean Harvey, inglese del Dorset, nata il 9 ottobre 1969 è una delle poche donne che tengono acceso dentro di sè il sacro cuore dell'ispirazione in virtù di un talento ed una capacità interpretativa fuori dal comune. Cresce in una piccola fattoria, nella rosea campagna, e come spesso accade sono i genitori ad introdurla al jazz e soprattutto al blues. Mostri sacri come Robert Johnson, Howlin Wolf e Captain Beefheart facevano parte dei suoi ascolti di adolescente. Prima dei venti anni fa parte di numerose bands locali, i Boulogne, a 15 anni, The Polekats ma soprattutto gli Automatic Dlamini, nella quale la troviamo come chitarrista, al sassofono, che aveva studiato per otto anni, e voce solista, ruolo che divide con John Parish, che in seguito ritroveremo spesso al suo fianco. In questo periodo scrive le sue prime terribili, come ricorda lei stessa, composizioni, influenzate anche dalla musica folk irlandese. Addirittura la sua prima apparizione a Sherborne viene interrotta prima della fine per le continue lamentele della clientela, che velocemente abbandona il posto. Ma niente e nessuno può fermare l'ambiziosa fanciulla che caparbia e tenace come poche forma il suo trio, con Rob Ellis alla batteria e Ian Olliver al basso, quest'ultimo rapidamente sostituito da Steve Vaughan.

 

La piccola etichetta Too Pure concede a PJ una chance ben ripagata, con l'incisione del singolo Dress, acclamato anche da un grande come John Peel. E' l'inizio di un'ascesa fantastica, con la nostra che da lì a pochi anni verrà presa ad esempio da tutti quando si parla di un certo tipo di fare rock al femminile. Il debutto di "Dry" (1992) è un vero pugno nello stomaco, a cominciare dall'inquietante foto di copertina, col primissimo piano delle labbra di Pj.  Nonostante la giovanissima età, emerge già il corposo songwriting della pulzella al punto che lo stesso Kurt Cobain forse esagerando un pò lo classifica tra i suoi 50 dischi preferiti di sempre. "Quando è uscito il mio primo disco avevo ventun'anni.1992 DRY Volevo che tutto quello che significava qualcosa in quel periodo della mia vita finisse nel mio album, che fosse un cosa scioccante, disturbante ovvero che creasse certe reazioni nell'ascoltatore". I suoni in effetti sono ruvidi come cartavetro, solo il singolo di cui sopra ammorbidisce un pò i toni altrove pesanti e rallentati, un po' alla maniera di un Nick Cave od un Tom Waits in stato di grazia. Il disco viene universalmente acclamato, non solo in ambito indipendente e pubblicato per volere della stessa Harvey in versione doppia con un secondo cd contenente i primi demos del disco. Ascoltiamo tra gli altri affascinanti versioni acustiche, voce e chitarra di gioielli come Oh, my lover, Happy and bleeding, che diventa un blues scorticato o le belle Sheela-Na-Gig e Fountain che rimandano direttamente a Patti Smith, un paragone stilistico che PJ ha liquidato sempre come  invenzione giornalistica. Uno dei migliori debutti di sempre e non solo in ambito femminile, fa il pari con "Horses"  pur non raggiungendone la stessa grandezza poetica e musicale.

 

La sua popolarità va alle stelle quando un suo nudo, anche se castigato, appare in copertina del numero di aprile del New Musical Express, mediocre rivista musicale britannica, ma sempre  molto letta e seguita. Fregandosene di tutto e di tutti strappa uno scontato contratto con una major, la Island, con  la quale incide a pochi mesi di distanza "Rid of me" e "4-Tracks demos" (1993). Per il primo si affida alle esperte mani di Steve Albini che a suo modo rende il sound più aggressivo, pur senza snaturare l'ispirazione della Harvey qui per l'ultima volta in versione trio. E' un altro disco riuscito, da segnalare Rub Til it bleeds, Hook, 50ft Queenie e la splendida Dry nelle quali la mano di Albini si sente pesantemente. Bella l'interpretazione 1993 RID OF MEdella cover dylaniana Highway 61 revisited al cui ascolto Bob sarà sobbalzato sulla sedia. Anche stavolta lo scatto di copertina farà parlare di sé, con PJ ripresa senza veli in bagno dall'amica Maria Mochnacz con una pettinatura da fare invidia alla compianta Amy Winehouse. "4-Tracks demos" invece può in apparenza sembrare un disco minore mentre all'ascolto ci sono interessanti intuizioni musicali, vedi il blues quasi beefheartiano di Reeling, notevoli anche le stesse Easy  ed Hardly Wait. Quest'ultima apparirà nel film "Strange Days" di Kathryn Bigelow cantata da Juliette Lewis. Questa volta P.J. ci appare quasi castigata, indossando un bikini due pezzi ed occhiali da sole oltre che ascelle pelose che fanno tanto trash. Di certo c'è che Polly sciolto il suo trio da qui in avanti registrerà i suoi dischi come lavori solisti veri e propri. E che lavori. Avvalendosi del ritorno dell'amico John Parish, di un esercito di collaboratori e di un produttore di prim'ordine quale Mark Ellis, alias Flood, registra al fine il capolavoro "To bring you my love" (1995), uno dei più grandi dischi degli anni 90', al pari di altri capolavori quali "Nevermind" e "Ok 1993 4 TRACKS DEMOSComputer". "Tutti i pezzi sono stati scritti nella mia camera da letto dove si vede un campo coltivato ed una collina, il resto del mondo a chilometri di distanza, è la migliore situazione ambientale possibile". Potenza della vita di campagna. La title track in apertura è probabilmente il brano più celebre della nostra eroina: "ho scalato montagne, viaggiato per mare, mi sono inginocchiata, ho fatto un patto col diavolo, maledicendo Dio, per portare il mio amore". Non c'è solo questa ovvio, poco è sotto l'eccellenza, Meet ze Monsta, C'mon Billy, Long shake Moan,  sono come aghi infilati nella pelle. Splendide anche le ballate, se si possono chiamare così, The dancer e la favolosa Down by the water, mentre Send his love to me è Patti Smith al 100%. Disco seminale. Anche qui esiste un'edizione limitata con varie b-sides che trattandosi di una grande artista non sono né saranno mai da buttare.

 

Nel frattempo sono memorabili anche le apparizioni live nelle quali la Harvey si presenta quando è in veste pudica con shorts altresì con gonnellini vertiginosi e look dal fascino unico anche se mai eccessivamente volgari. E' la musica in fondo che parla per lei. A questo proposito e magari senza volerlo la stessa artista dichiarò al tempo che " la musica per me è un processo molto fisico". E visto che la ritrovata e proficua collaborazione con John Parish sembra funzionare alla grande i due incidono un disco in comune, il discreto "Dance Hall at Louse Point" (1996). Non ci sono forse le intuizioni geniali del disco precedente ma non tutto è da buttare anzi. Rope bridge crossing e Urn1995 TO BRING YOU MY LOVE with dead flowers in a drained pool sono sempre belle canzoni ma si ha l'impressione che PJ abbia voluto tenersi il meglio per sè. Ed è così infatti. "Is this desire"(1998) è disco ancora una volta di alto livello, non molto sotto il precedente da solista. Impossibile non innamorarsi di songs meravigliose quale Angelene e The river ma anche la title track ha buone frecce nel suo arco. Il disco, che PJ ritiene il suo favorito di sempre, vede il ritorno di Rob Ellis, suo primo batterista, che produce l'album insieme al grande omonimo di PJ, Mick Harvey, storico polistrumentista di Nick Cave, che risulterà fondamentale anche nei dischi a venire. Con il successivo "Stories from the City, Stories from the Sea" (2000), una specie di confronto fra la Big Apple e il placido Dorset natio, inizia alla grande il nuovo millennio anche per PJ. E' un disco a torto considerato minore da una parte della critica, ma ad un attento ascolto appare assolutamente da rivalutare. Ha il suono più pulito e scorrevole che si sia ascoltato fino a quel momento dall'inglesina, ma questo non è necessariamente un difetto. Poco o nulla da scartare qui, impossibile non citare la gradita ospitata del grande Thom Yorke che duetta con Polly in This Mess We're In mentre il resto del disco è di alto livello.Tanta bellezza e poi il vuoto. La Harvey non dà più notizie di sé e ci vogliono 4 lunghi anni per riascoltarla di nuovo, ma ne vale la pena perché è in uscita "Uh Huh Her" (2004).

 

1998 IS THIS DESIRE _Qui l'inglese presa da manie di grandezza - ok se lo può permettere - suona tutto o quasi da sola, accompagnata solo dal fido Ellis. Who the fuck grida disperata PJ in uno dei pezzi più rabbiosi del disco, quasi per lanciare un ammonimento a tutto e tutti. The letter scelta come singolo centra il bersaglio, No child of mine rimanda ancora a Patti, notevole Cat on the wall e delicatissima e dolcissima la ninna nanna di The desperate kingdom of love. Da segnalare che vedono al luce sempre nel 2006 anche le interessanti "The Peel Sessions 1991-2004"  ed il dvd "On tour: please leave quietly" che testimonia uno show del 2004. Ancora più sorprendente appare la trasformazione visiva dettata dalla copertina del settimo disco, "White Chalk" (2007) che la vede in un candido vestito bianco, casta e pura verrebbe da dire. In un'intervista con Mr. Talking Heads David Byrne dichiarò "prima salivo sul palco sentendo il bisogno di trasformarmi, essere camaleontica, truccarmi pesante ed essere più disinibita possibile, indossare qualsiasi cosa che potesse piacere al mio pubblico, adesso mi sento forte, sono più me stessa, come nella vita di tutti i giorni". Un addio totale quindi alla favolosa immagine che ha fatto innamorare mezzo mondo musicale? Chi lo può dire e detto fra noi2000 STORIES FROM THE CITY STORIES FROM THE SEA poco ci interessa. Tornando al disco non è solo l'immagine fisica della Harvey ad aver subito una mutazione ma pure il suo stile compositivo. "White Chalk"  vede in prevalenza ballate pianistiche fascinose ma che spiazzano in quel momento il suo vastissimo esercito di fans. PJ canta con un registro vocale più alto del solito e lo fa come "posseduta da demoni e fantasmi" come qualcuno disse al tempo. Il suo disco in definitiva più deludente, considerate le sue elevate medie compositive anche se dispiace ammetterlo. Anche il secondo disco in coppia con John Parish "A woman a man walked by" (2009), pur avendo i suoi bei momenti denota segni evidenti di stanchezza, non sembra che la presenza del suo partner preferito la stimoli a livello creativo; questo è quello che traspare all'ascolto, vedi brani come California, April e The Soldier, davvero da dimenticare."Let England shake" (2011) è fatto di tutt'altra pasta, di per sé uno dei migliori album dell'attuale decennio, ma forse vede tramontare in modo definitivo la sua immagine di artista delirante e maledetta, sorta di Nick Cave con tanto di gonnella. E' Il suo disco più politico, recupera tutta la tradizione inglese, è uno dei suoi più gradevoli: le canzoni sono tutte belle e certe vocalità rimandano pure alla migliore Siouxsie. Ogni songs ha una storia a sè e proprio per questo PJ ha voluto far uscire parallelamente2009 A WOMAN A MAN WALKED BY all'album un dvd che contiene tutti i video, splendidi, delle 12 songs, intitolato proprio "Let England Shake: 12 Short Films". Da recuperare assolutamente. Aspettiamo fiduciosi altre mirabili mosse dall'artista inglese più stimolante, versatile e geniale degli ultimi decenni, certi che non ha ancora esaurito la sua straordinaria vena creativa. Per adesso a Polly portiamo e ricambiamo tutto il nostro amore.

Ricardo Martillos

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