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7 Agosto 2016 , ,

The Chemistry Experiment GONGS PLAYED BY VOICE

Uscita: 6 Gennaio 2015 - Fortuna Pop!

 Italia-Inghilterra  #consigliatodadistorsioni     

 

ChemExSleeve-1160x1141Di solito il primo disco di un artista/band è il frutto di anni e anni di lavoro: poi, una volta vista la luce, viene consumato in pochissimo tempo. L’offerta musicale è ormai così piena di artisti e proposte che il pubblico inizia a scarseggiare, perciò meglio sbrigarsi a pubblicare il secondo, il terzo e così via per evitare il dimenticatoio che solo i giganti riescono (in parte) ad evitare. Questa paura dell’oblio non  condiziona i The Chemistry Experiment, divisi geograficamente tra Bologna, Brighton e Nottingham, dopo aver pubblicato ben 10 anni fa il loro primo album intitolato “The Melancholy Death of the Chemistry Experiment” e con tanto di SM diagnosticata al batterista: ci scherza su il cantante Steven J. Kirk, affermando che così facendo hanno aggirato la difficoltà di dover produrre la seconda opera in pochi mesi.
Abbandonata ogni velleità sonora che non rientri nei canoni dei filoni roots, folk (Will Oldham è forse il riferimento più diretto) e progressive “Gongs Played By Voice” è appunto un disco prog-rock e prog-folk nelle intenzioni, che ha però avuto modo di maturare all’ombra del movimento new wave, con un occhio molto attento al minimalismo dei loop compositivi di stampo Joy Division. 

 

Il tentativo di ritrovare sonorità affini ai primi King Crimson, alle parentesi prog di artisti come Jethro Tull, è più che riuscito: la voce del chitarrista è un po’ quella che avrebbe Milan Fras (Laibach) se iniziasse a canticchiare, o di un Bowie baritonale e cupo. Non A-245199-1172337398.jpegmancano accenni di sonorità post-rock (l’intro di Jandek Bakery), ma il flauto, l’organo, il mellotron, le liriche a tratti fiabesche, figurate, fanno di questo lavoro un’ambiziosa aggiunta alla galassia di uno dei filoni responsabili della musica venuta decenni dopo. Farlo nel 2015 è ancor più difficile. Avere la pazienza di cesellare per 10 anni la propria creatura denota una sicurezza nei propri mezzi, oltre che un amore 3714per la musica che ha pochi rivali nel panorama di quest’epoca. Ma loro sono appunto di un altro tempo, come testimonia Rainy Day, che potrebbe benissimo far parte di quel capolavoro assoluto che fu “Islands” del gruppo di Robert Fripp, e la conclusiva A Good Wind, pièce vetta del lavoro di nove minuti, dove si assiste ad un -non nuovo- ma accattivante dualismo tra voce e vocoder, tra uomo e macchina. Non ci resta che sperare in un terzo capitolo, tra soli 10 anni.  

 

Voto: 7/10
Davide De Marzi

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