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1 Giugno 2012 ,

Laurie Biagini A GO-GO GIRL IN A MODERN WORLD

23 novembre 2011 - Autoproduzione

biaginiNon fatevi ingannare dall'assonanza del suo nome con quello della nostrana cantante di musica leggera che a qualcuno verrà magari in mente. Fortunatamente Laurie Biagini non ha niente da spartire con le scelte musicali di quest'ultima né, a dire il vero, con la scena musicale italiana, se non il cognome, che probabilmente parla di passate emigrazioni, e la collaborazione per questo nuovo album con il chitarrista Fabrizio Serrecchia, membro dei Soundserif (band di pop sixties-oriented di Ciampino), che suona la chitarra in quattro brani (A Go-Go Girl in a Modern World, The Invisible Guy, Chameleon Man, A Ride on the Train). Laurie Biagini è difatti una cantautrice canadese, di Vancouver, che suona il piano dall'età di cinque anni e nel 2006 scopre di saper anche scrivere musica, per cui decide di dimostrarlo pubblicando tre album autoprodotti, “Ridin’ the Wave” nel 2008, “A Far-Out Place” nel 2010  e l'ultimo, “A Go-Go Girl In A Modern World”, nel 2011.

 

Ora i fanatici degli anni '60 drizzeranno le antenne davanti a un titolo come questo che, tra l'altro, esprime in modo efficace il pensiero dei tanti che vivono ‘in a modern world’ ma vorrebbero vivere ‘in an old world’ popolato da go-go girls, sebbene in quell'old world le go-go girls, le ballerine che affiancavano le band sul palco o si esibivano nei locali,biagini rappresentassero l'aspetto più leggero e commerciale della musica, da molti deprecato o snobbato. In ogni caso, sono proprio quel genere di gruppi i riferimenti musicali della Biagini, ovvero quelle band riconducibili all’ala più pop e spensierata della musica sixties. Naturalmente il pop inteso con il senso di oggi, dato che all’epoca, invece, tutto (o quasi) ricadeva sotto la definizione di pop. Dunque nell’ascoltare “A Go-Go Girl In A Modern World” vengono in mente nomi come Monkees, Beach Boys, Turtles,  Seekers e anche, qua e là, i Beatles. Niente di spesso e impegnativo, quindi, ma qualcosa che si annuncia decisamente piacevole e di indubbia impronta sixties, che ha regalato in passato alla cantautrice diversi riconoscimenti nel suo paese e, come spiega lei stessa nel suo sito, recensioni positive soprattutto da parte della comunità powerpop, partecipazioni a festival e a compilation musicali.

 

E’ dunque questo il tipo di suono che caratterizza l’album (sul richiamo al powerpop avrei però qualche perplessità) e che all’ascolto dei primi brani come la title-track in apertura, la successiva A Ride on the Train, My Little S.U.V., Rainy Day at the Beach,  risulta effettivamente accattivante, anche grazie alla bella voce della Biagini. Proseguendo con l’ascolto del disco, ci si accorge però che lo schema dei brani iniziali rimane immutato per tutti i 14 pezzi dell’album, senza alcuna variazione nella struttura ritmica né nell’impostazione melodica, rese piatte e ripetitive anche dalla presenza di una batteria elettronica che per questo genere è proprio fuori luogo. Diverse peraltro le collaborazioni strumentali e compositive all’album: oltre a quelle già citate, la cantautrice inglese Maxi Dunn e Peter Hackett dei Cult of Wedge in Eyes of a Little Girl, Richard Snow (della band inglese Richard Snow and the Inlaws) in My Little S.U.V. e Elaine McAfee Bender, go-go dancer negli anni ’60 e oggi coreografa e insegnante di danza, in The California Quake. Ma nonostante i numerosi ospiti e gli intarsi di pianoforte ad opera della stessa Biagini, l’album non presenta nessun sussulto fino alla fine e di conseguenza l’entusiasmo iniziale si affievolisce quasi subito e presto si trasforma in noia.

 

Rossana Morriello

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