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10 Marzo 2016 , ,

Magnum SACRED BLOOD “DIVINE” LIES

26 Febbraio 2016 - Spv

I Magnum nascevano a Birmingham nei primi anni ’70 come la più americana tra le bands inglesi. Il loro sound attingeva a piene mani dal pomp-rock di Styx e Foreigner ma, volenti o nolenti, il tutto era inevitabilmente filtrato da un approccio più “british”, che attingeva di volta in volta dall’hard progressivo degli Uriah Heep o, in certe melodie e atmosfere, persino dal glam decadente di Bowie, Elton John e certi Queen. Nel corso degli anni ’80 i suoni si sono fatti più asciutti e taglienti, cavalcando quel filone denominato AOR.

Oggi, in questo nuovo album, il 19° capitolo in studio della loro carriera, troviamo ancora in formazione due componenti storici come il chitarrista Tony Clarkin, principale compositore e anima dell’intero progetto, e il cantante Bob Catley, mentre il tastierista Mark Stanway, entrato e uscito a più riprese dal 1980 a oggi, si può considerare a pieno titolo il terzo elemento più importante di tutta la storia della band.

Il sound nel frattempo ha dato un’ulteriore sterzata verso sapori più easy listening, ricordando quasi certe atmosfere alla Bon Jovi, anche se alcuni momenti più epici, come Crazy Old Mother, dalle melodie medievali e folkeggianti, o la trascinante Princess in Rags, o Afraid of the Night (che suona davvero molto ma molto styxeggiante) vengono evocati i vecchi fasti della band.

 

Che dire? I Magnum sono ancora degli abilissimi creatori di riff infuocati, melodie trascinanti e ritornelli da cantare a squarciagola e il timbro di Catley è sempre a dir poco meraviglioso… Eppure c’è qualcosa nell’intero disco che suona un po’ casereccio, quasi “a gestione familiare”, a cominciare dall’intera grafica del libretto che, a parte la bellissima copertina di Rodney Matthews nel più tipico stile della band, è stata curata totalmente dal bassista Al Barrow (ed è anche penalizzata da una qualità di stampa che non rende proprio sempre tutte le note leggibili). Sempre Barrow è autore anche della maggior parte delle foto interne. Altro aspetto un po’ casalingo è dato da una produzione sonora un po’ chiusa e poco brillante, soprattutto nelle batterie (se già ci era sembrata inaccettabile una cosa del genere in “Vapor Trails” dei Rush, che è di 14 anni fa, figuriamoci oggi!). Le tastiere di Stanway, infine, suonano veramente troppo finte, in particolar modo i tappeti di archi, piatti e poco attuali.

Concludendo: di certo la vena creativa della band è tutt’altro che esaurita, e il fatto che i Magnum abbiano messo in fila qui 10 tracce tutte di ottimo livello per quasi un’ora di musica lo dimostra; ma di certo non sono più supportati, complice la crisi dell’intero settore discografico, dalle iperproduzioni dei decenni passati e questo un po’ li penalizza.

 

Alberto Sgarlato

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