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15 Aprile 2013

X-Ray Life X-RAY LIFE

2012 - Atomic Stuff

x-ray lifeAveva ragione Simon Reynolds, l'autore del fortunato libro "Retromania", a dire che il rock'n'roll è una questione di continui corsi e ricorsi storici, continue riletture di un passato mitico e mitizzato, che le generazioni nuove guardano molto spesso con occhio nostalgico, per non dire (a volte) religioso. Questa consuetudine non è necessariamente un difetto, la bellezza del rock’n’roll è (anche) il suo costante girare intorno ad un' unica e condivisa manciata di buone idee. Se il periodo storico feticizzato da generazioni di musicisti nel corso degli anni sono stati gli anni Sessanta (l'età di Saturno della musica rock, rivisitata, riscritta e rivista in mille tentativi di farla rivivere) o momenti di grande impatto "rivoluzionario" (il punk, la new-wave), fa un poco strano vedere (sentire) gli anni Novanta (e in particolare gli anni Novanta del grunge) assurgere a modello d'ispirazione per una band. Nel senso che il suono di Seattle di quegli anni era un suono di per sé già, possiamo dirlo senza scandalizzare nessuno, in un certo senso revivalistico (ricordate le prime recensioni italiane dei Nirvana, prima dell'esplosione mediatica del fenomeno, che parlavano di nuovi Black Sabbath in salsa punk?); un revival del grunge oggi, dunque, suona come un’interpretazione "al quadrato" della retromania di Reynolds: il revival di un revival, doppio gioco di specchi.

 

Sia ben chiaro, ognuno sceglie i suoi miti e li celebra come vuole, questa è solo una riflessione teorica, premessa alle sensazioni datemi dal disco in questione (se mai la domanda cattiva potrebbe essere: è già tempo di riscrivere un periodo così vicino e così cementificato nel suo contingente storico?). Gli X-Ray Life, da Venezia, propongono undici pezzi che guardano agli anni Novanta con occhio davvero filologico, rispettandone gli schemi, i suoni e anche i cliché, riproponendone tutte le declinazioni, quelle invecchiate meglio e quelle ormai terribilmente demodè. Undici pezzi sospesi tra Nirvana, Pearl Jam (specie in alcune parti cantate), Alice in Chains, Stone Temple Pilots e soci. Ogni tanto la band strizza l'occhio anche ai Black Sabbath (il finale di Lay on you, per esempio), ma l'influenza è sempre mediata dagli anni Novanta, Bella poi l'idea di coverizzare Suzie Q (che ad onor del vero non è dei Creedence Clearwater Revival come indicato nella cartella stampa, ma è un pezzo del 1957 di Dale Hawkins, reinterpretata anche dagli Stones). L'impressione generale è che il disco più che in uno studio di registrazione sia stato registrato in una macchina del tempo, che ci ha riportato improvvisamente negli anni Novanta, nel Nordovest degli Stati uniti, tra Seattle e Aberdeen. I cultori del genere (ma temo solo loro) apprezzeranno molto.

 

Luca Verrelli

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