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25 Novembre 2012

We Love You WE GOT IT

2012 - Otium Records

weloveyouIl power trio pugliese We Love You (Michele Ventrella, Agostino Scaranello e Alessandro Ferrara) esordisce con un interessante disco, “We got it”, lavoro muscoloso e rumoroso, registrato (molto bene) in presa diretta da Giuseppe Dentamaro. Un disco suonato d’istinto, in cui hard-blues, noise, garage e punk si fondono in una miscela che a tratti è davvero esplosiva. Un album diretto e franco, merito anche della registrazione (e dio benedica la presa live, quando è bene usata come in questo disco), scarno eppur molto vigoroso, ruvido ma mai rozzo, sempre in bilico tra la vertigine del noise, la dolente malinconia del blues, e la potenza delle distorsioni. La band mette insieme vecchio e nuovo blues (Led Zeppelin e Jon Spencer) e vecchio e nuovo garage (Stooges e Black Keys) e condisce tutto con abbondanti dosi di noise, riuscendo a creare un muro di suono pastoso e compatto. E bastano le prime note di We love you, pezzo che apre il disco – e uno dei migliori dell’intero album –  per dimostrare tutto questo.

 

Il pezzo è una cavalcata stoogesiana (dell’era “Fun House”) e ledzeppeliniana allo stesso tempo: costruito su un riff ossessivo, lascia ampio spazio ad una voce selvaggia e deflagrante, nella costante ripetizione della frase che dà il titolo al pezzo. Ma anche il resto del disco non scherza: Honey è un blues di una cupezza disperata, dominato da un cantato assolutamente in parte che, a tratti, raggiunge empirei quasi plantiani di raffinatezza e dolore. Alla band non dispiacciono neanche certe sonorità desertiche pescate dal miglior stoner, in pezzi come El Carrona, lento lamento psichedelico giocato sul contrasto tra suoni dilatati ed esplosioni di distorsione, oppure Motorheart baby, che si apre come un blues del deserto (virato hardrock) per trasformarsi quasi subito in un pezzo-schiacciasassi sguaiato e potente. Ma la band non appare a disagio neanche in momenti più rilassati o intimisti (anche loro, però, costruiti sull’opposizione calma/vortice sonoro, vuoto/pieno), come la bella Ready (ballatone potente che frulla Sonic Youth e grunge anni Novanta), o So Sweet, che, fedele al titolo, è il momento più riflessivo del disco, almeno fino alla deflagrazione di suono che caratterizza la seconda parte del pezzo. Un esordio fragoroso per una band che promette davvero bene.

 

 

Luca Verrelli

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