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23 Marzo 2013 ,

Mojofilter THE ROADKILL SONGS

2013 - Club De Musique/IRD

mojofilterI Mojo Filters tagliano il traguardo del terzo album (il precedente era stato "Mrs. Love Revolution" del 2011) e continuano il loro viaggio attraverso il vintage rock. "The Roadkill Songs", ultima fatica della band lombarda, è un disco energico, muscoloso e dai suoni potenti, in cui le radici hard/blues si sposano spesso e volentieri con la psichedelia da un lato e con sonorità più contemporanee dall’altro. Primo punto a favore della band (Alessandro Battistini, voce e chitarra, Carlo Lancini chitarra, Jennifer Longo, batteria e Daniele Togni, basso): il disco è registrato in presa diretta, cosa ormai sempre più rara, specie nelle produzioni italiane.

 

La cosa è sempre lodevole, ed in controtendenza rispetto alla ormai tanto usuale quanto non condivisibile consuetudine secondo la quale una produzione asettica e parcellizzata sia, a prescindere dal resto, un’arma vincente per la riuscita di un disco: fidatevi non è sempre così, non saranno i trucchi di post-produzione a salvarvi dal realizzare un disco brutto. Ed è proprio questa presa live che sottolinea le potenzialità del disco, ne registra ogni minimo scatto umorale, ogni goccia di sudore versata su quei riff di marca Led Zeppelin/Black Sabbath (sì, lo so che alla fin fine ci limitiamo a nominare sempre gli stessi nomi ogni volta che si parla di un disco del genere: ma, in fondo, non è questo il rock’n’roll?), che non fa perdere neanche una sfumatura prodotta da quegli amplificatori con le valvole sature al massimo, contrappuntate da una sezione ritmica granitica e puntuale, che non sgarra un colpo e offre una solida struttura ad ogni pezzo. La presa diretta dona al disco un suono d’insieme, solidifica il groove della band, e, cosa più importante, allontana (o almeno sfuma) le insidie del manierismo che il recupero delle sonorità vintage porta sempre con sé.

 

Il disco scorre tutto d’un fiato, e accanto ai già nominati numi tutelari cari ad ogni hard-rocker che si rispetti (ci aggiungerei anche Hendrix), si affiancano influenze diverse che arricchiscono il disco di sfaccettature differenti. Alle influenze dalla band vanno infatti aggiunti non solo lo stoner, figlio primogenito dell’hard rock anni Settanta, ma anche il rock psichedelico vecchio e nuovo, fortemente presente nel disco (tra Quicksilver Messenger Service e certi Motorpsycho, in bilico tra sitar esotici, theremin aleatori e assoli lisergici), e la destrutturazione postmoderna della musica nera stile Blues Explosion e simili. Su tutto l’album aleggia una schietta e verace attitudine rock’n’roll, in un sano mix di potenza e divertimento (l’uso di un artificio così demodè come l’handclapping è uno dei tanti segnali di questo approccio); quel rock’n’roll che non va in cerca di novità ma che rivisita all’infinito le proprie radici quasi si trattasse di un atto di fede, che se ne frega delle mode continuando dritto per la propria strada, che lavora sì di stereotipi ma li reinventa di continuo, risultando nonostante tutto dannatamente divertente.

 

Luca Verrelli

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