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4 Dicembre 2013 ,

The Child Of A Creek THE EARTH CRIES BLOOD

2013 - Seahorse Recordings

The Child Of A Creek THE EARTH CRIES BLOODSe la scrive, se la canta e se la suona tutto da solo il folksinger toscano Lorenzo Bracaloni che si muove sotto il nome d’arte di The Child Of A Creek. E non si muove malissimo in questo suo quinto album “fatto in casa” dove i brani, che hanno un tempo, ma non un ritmo (batteria e/o percussioni sono totalmente assenti), si snodano eterei, melanconici e carichi di un’elettricità sotterranea.

Dominano le chitarre pur essendo presenti tappeti di tastiere soffuse, piccoli tocchi di pianoforte e un flauto occasionale. Quasi tutte le canzoni, cantate in inglese, si muovono sulla stessa falsariga con intro di arpeggi acustici che aprono le porte alle chitarre elettriche che svisano con un effetto di lontananza suggestivo e piacevole.

Ma se ogni brano, preso singolarmente, è di fatto affascinante e, appunto, suggestivo, nella lunga distanza di undici pezzi per oltre quarantacinque minuti il tutto, visto l’andamento troppo similare dei brani, diventa un po’ monocorde e ripetitivo. Il rischio è quello della stucchevolezza e del calo di attenzione da parte dell’ascoltatore.

In più di un brano affiorano sporadiche sonorità e armonizzazioni vagamente gaeliche non si sa quanto consapevoli (vengono in mente i Clannad) e tra queste canzoni che narrano delle sofferenze dell’Uomo e della Terra che lo ospita in questi nostri giorni lacerati dove piangere sangue non è poi così difficile, segnaliamo Morning comes il brano di apertura, Don’t cry to the moon - non tanto per la presenza di Pantaleimon dei Current 93 che canta nel brano senza aggiungere niente di personale e nessuna particolarità allo stesso - ma per la suggestione dovuta alla bellezza intrinseca del brano che ricorda il Jeff Buckley più The Child Of Creekintimista, e la gemma splendente The Earth Cries Blood che titola l’album e che lo chiude: uno strumentale che viaggia sulle coordinate di un ambient rarefatto sulle orme del maestro Brian Eno e quelle più profonde dei soundscapes di Frippiana memoria.

 

Maurizio Pupi Bracali

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