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15 Marzo 2013

Santobarbaro NAVI

2012 - Cosabeat Studio

navi-santo-barbaro Esistenzialismo che passa attraverso il filo conduttore della narrativa picaresca e aspra di sarcasmo di Andrej Platonov e le evocazioni surreali che furono del Giovanni Lindo Ferretti della controcultura ortodossa. Questo sembra racchiudere questo secondo lavoro dei Santobarbaro, dopo “Lorna” (2010 Ribess) ed una prima autoproduzione del solo Pieralberto Valli del 2008, “Mare Morto”. Un album etereo, delicatissimo, giocato su elettronica e sperimentazione e un cantautorato raffinato e colto, che spazia tra letteratura e poesia elegiaca ed intimista. I testi sembrano giocare il ruolo predominante mentre la parte musicale è una tessitura scenografica mai invadente, una rifinitura che esalta ed enfatizza l’espressività di un racconto sussurrato, quasi subliminale, sospeso tra onirismo ed evasione lucidissima. Il risultato è talmente carezzevole e vellutato, sobrio e scorrevole, che ad un primo sommario ascolto sfuggono le sfumature di una imbastitura di arrangiamenti pensata per diluire, per creare atmosfera. In realtà il disco sceglie una forma comunicativa complessa.

 

Le parole assumono voluminosità ingombrante, diventano tasselli di un mosaico articolato, sono consistenti come corpi solidi che si ammassano gli uni sugli altri per darsi spessore, per opporre resistenza. E’ un meccanismo di lenta ma incessante costruzione i cui ritmi sono scanditi da una strumentazione che a tratti arranca oscura e melmosa: le screziature di synth, i lamenti soffusi dei fiati, i tocchi leggeri e quasi sparuti del pianoforte, quelli più tronfi del contrabbasso; a tratti fluidifica e si rende scorrevole, dando una cupa impressione di sospensione. Sono forme scolpite, incise, pregnanti. Urania ha un’apertura molto ritmata lievemente disturbata da un’interferenza elettrica di sintetizzatore e poi languisce negli ammolli di violoncello fino a degenerare in un finale, convulso, battitosantobarbaro industriale. Quercia è ispirato a “Il libro degli esseri immaginari” di Jorge Luis Borges, con pulsazioni polverose come reminescenze, feedback primitivi, retaggi affioranti come visioni confuse, a riportarci ai CSI più mistici e solenni.

 

Stagnanti e quasi incolori Transit e Non sei tu, punteggiate da un’elettronica sintetica che le fa precipitare in un limbo emozionale pesante ed eccessivamente statico. Illanguidite, giocate su alchimie sofisticate e indefinibili Prendi Me e Tempesta finiscono per cadere nel tranello insidioso di effettistica scontata, distribuita per rompere l’eccesso di linearità. Molto Radiohead. Soporifera decisamente Nove Navi. I dieci brani rivelano nel complesso una indubbia qualità tecnica che però ammortizza ogni potenziale creativo e la voglia di ricerca in una produzione eccessivamente levigata e ponderata. I toni sommessi e plumbei, la salmodia sussurrata, le reiterazioni cupe e riverberanti degli accordi fanno vacillare la percezione di istinto e ispirazione che pure non è una dote assente in questo disco. Manca energia, manca mordente, un’impronta di personalità capace di destare veramente attenzione e questo a mio parere denota una fase ancora acerba e poco delineata nel cammino del duo romagnolo.

 

Romina Baldoni

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