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22 Febbraio 2016 , , ,

Morgengruss MORGENGRUSS

7 gennaio 2016 - Taxi Driver Records

Morgengruss è il nuovo progetto di Marco Paddeu, musicista genovese attivo da parecchi anni nell'ambiente della psichedelia esoterica, già proveniente da gruppi come Demetra Sine Die e Sepvlcrvm con i quali aveva esplorato le lande deserte dell'inconscio, captandone le frequenze della parte più oscura e contraddittoria. Con Morgengruss l'esperienza acquisita e la padronanza dei mezzi di Paddeu viene adesso declinata con maggiore sensibilità, dando alle stampe un album coeso e dall'alto tasso di densità emotiva i cui brani definiscono una musica che si muove quasi come fosse un cuore dai battiti lenti e che scorre fatalmente come un fluido vermiglio. Per avere un'idea, basti l'accostamento a quell'idea di folk apocalittico resa da Steve Von Till nel suo recente “A Life Unto Itself” con le sue suggestioni di frontiera che raccontano di un passaggio obbligato attraverso le terre popolate dai propri demoni.

 

La caratteristica di “Morgengruss”, registrato da Emiliano Cioncoloni presso lo studio El Fish di Genova, è quella di mettere insieme inserti post rock a moduli di drone music ed echi di ambient dilatata che determinano un effetto di grande suggestione all'ascolto con inattese derive cinematiche. L'iniziale Father Sun inaugura il cammino con la sua circolare innodia mesmerica, mentre nella successiva To An Isle In The Water, una delle tracce più riuscite della tracklist, la tromba di Roberto Nappi Calcagno sottolinea l'idea di una desolazione che si sposa con la speranza. Dopo le inquietudini doom di River's Call, si arriva a Like Waves Under The Skin con i suoi clangori elettrici che liberano spore soniche di luce impazzita. In chiusura Vena con il suo cuore di esoterismo psichedelico e il catartico fluido ambient di Hope, a metà tra Brian Eno e l'elettricità latente dei Godspeed You! Black Emperor. Morgengruss è un disco all'apparenza ermetico ma che, dopo alcuni ascolti, riesce a far cogliere quelle sfumature che descrivono le profondità di un album affascinante proprio perché parla la lingua perduta dello spirito.

Giuseppe Rapisarda

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