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14 Marzo 2014

Mope MOPE

2014 - Taxi Driver Records

Mope MOPEVengono da Genova i quattro Mope e dopo aver fatto esperienza in diverse band della zona hanno dato vita a questo progetto doom metal che si annuncia decisamente promettente. Non mancano alcuni tratti originali, sia nella line up per la presenza del sax (i Mope sono Fabio Cuomo alla batteria, Stefano Parodi al basso, Jessica Rassi alla chitarra e Sara Twinn al sax), sia nella scelta di suonare brani esclusivamente strumentali. Tre soli per questo loro esordio, ma quasi mezz’ora di musica, densa, ricca, emotivamente coinvolgente. Musica che evoca visioni dark, cupe, notturne sottolineate dalle note pesanti del basso, dalla chitarra distorta e da una batteria convulsa e spettrale, ma che si riempiono di nostalgia e malinconia quando arriva il sax di Sara Twinn, un suono pulito, armonico, ricco di sentimento, impregnato del dolore della notte, proveniente da un fumoso scantinato jazz club. Ascoltati i 30 minuti del disco si ha la sensazione di essere stati molto vicini all’apocalisse, di fronte ad un profondo e disturbante buco nero, i drones ti hanno scosso il cervello e le note della chitarra hanno insinuato inquietudini, mentre il sax ha fatto affiorare la lancinante nostalgia di un passato ormai mitizzato. 

 

Meno psichedelici e mantrici degli Om, più aggressivi degli slowcore Bohren & Der Club Of Gore, a cui li avvicina l’uso del sax - ma quello di Christoph Clöser ha sonorità molto più ambient - i Mope si avvicinano di più agli Sleep, sia per la prevalenza di lunghe suite, sia per le atmosfere evocate, sia per la voglia di sperimentare. Due ci sembrano gli elementi vincenti della band: uno quello di cercare nuove strade, rischiare, non soltanto usando diversi linguaggi musicali, doom metal, jazz, psichedelia, metal prog, drones, ma facendo vivere le loro lunghe suite su elementi apparentemente contraddittori, in particolare le sonorità nevrotiche, pesanti della sezione ritmica con il suono evocativo, malinconico del sax. Laltro è la scelta di non usare la voce che avrebbe appesantito il tutto, impedito di apprezzare in pieno l’evoluzione degli strumenti - è quello che accade agli Yakuza con una voce cavernosa troppo ingombrante - rendendo invece fruibile il disco anche per i non appassionati del genere, che potranno godere della bravura dei nostri, farsi invischiare nelle loro atmosfere pessimistiche e scure; ci sentiamo di raccomandarlo anche a loro.

 

Ignazio Gulotta

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