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26 Gennaio 2013

Dario Pinelli & Binario Swing MADE FOR THAT

2012 - Hot Club Of Italy

pinelliDopo aver ascoltato i primi sei brani, una buona prima metà, di Made For That”, nuovo lavoro del chitarrista/cantante/compositore italiano newyorkese d'adozione, di fama internazionale, Dario Pinelli e del suo valido combo pugliese  Binario Swing, (Umberto Calentini: double bass/vocals, Franco Speciale: rhythm guitar/vocals, Teo Carriero: drums) uscito verso la fine del 2012, ho pensato subito  due cose:  1) di trovarmi di fronte ad un piacevole disco di soft swing  al servizio di una mostruosa tecnica strumentale, quella del chitarrista  Dario Pinelli, che adopera per tutta la durata del disco una manouche acoustic strings guitar (come anche Franco Speciale, l’altro chitarrista), attingendo in modo lapalissiano e davvero felice – soprattutto nello strumentale Made For That , title-track di sua composizione - al mood ed alla tecnica del guru belga del gypsy-jazz Django Reinhardt (1910-1953), di cui Pinelli rivisita insieme ai Binario Swing  un magnifico brano di jazz manouche, Anouman, un suggestivo episodio slow tra i più riusciti di Made For That.

 

Una maestria nuda e cruda la sua - e per questo ancor più apprezzabile - assolutamente scevra dagli  effetti speciali  ed escamotages che troppi strumentisti oggi come da sempre usano (soprattutto in contesto rock) per sopperire ad una cronica latitanza di idee e tecnica;  2) e – seconda cosa -  Made for That  all’inizio pare essenzialmente un lavoro tributo alla gloriosa tradizione swing/canzonettistica popolare italo-americana degli anni ’50 secondo millennio, ed ad alcuni suoi celeberrimi protagonisti, viste le cover  (molto ben arrangiate) di brani icona arcifamosi come Tu Vuò Fa l’Americano di Renato Carosone, Oh Baby Kiss Me dell’indimenticabile  triade Kramer/Garinei/Giovannini, Angelina Zooma-Zooma  tra i cui autori risalta il nome dell’italo americano Louis Prima. Insomma, si pensa, siamo nello stesso territorio d’azione di artisti come Ray Gelato, che hanno costruito il loro look e la loro popolarità su questo meticciato culturale e musicale.

 

calentiniMa proseguendo nell’ascolto ci si accorge di essersi in parte sbagliati, perché il disco è molto più eclettico e completo di quanto la prima tranche possa far pensare: spia ne è già la parentesi be-bop di Groovin’ High del grande Dizzy Gillespie, in cui i miracolosi polpastrelli di Pinelli si avventurano in pindariche evoluzioni be bop che non fanno assolutamente rimpiangere l’assenza di una tromba o di un sassofono, così come il pregevole solo ‘Mingus-iano’ al double bass di Umberto Calentini, sensibile e titolato musicista pugliese (anche direttore artistico) già in bella evidenza nell’agile adattamento dello standard swing Sweet Georgia Brown. La seconda anima del disco, legata al songwriting di Dario Pinelli (insieme a Shrum) ed alle sue performances vocali pacate ed evocative, è quella che aleggia negli ultimi quattro brani, soft ballads squisitamente jazzy, soprattutto nella stupenda Shifted (ispiratissima).

 

Un’anima leggera, sobriamente poetica, in cui il suo virtuosismo solistico lascia più spazio ad una costruzione corale - quasi di sapore ambient - di atmosfere rilassate e loungy (A Summer’s Dream, e la più capricciosa Insanity), nelle quali prezioso e più in primo piano appare l’apporto del secondo chitarrista, il maestro Franco Speciale. Il batterista Teo Carriero dopo aver adoperato le spazzole per tutta la prima parte, fuori dal contesto prettamente swing ha modo di mostrare più idoneamente con le bacchette la sua creatività percussiva. La crepuscolare, finale One by one, arricchita da un gustoso intervento rap del dj Murcielago, la dice lunga, ancora una volta, sull’eclettismo espressivo ed interpretativo di Pinelli & Binario Swing. Una direzione, quella che emerge nella seconda porzione di Made For That, decisamente più convincente, da approfondire rispetto alla prima ortodossamente swing, molto più ‘di maniera’ e ruffiana. Un disco fresco e godibilissimo che, tra l’altro, ha il grosso merito di riportare l’attenzione su uno dei capitoli più suggestivi del jazz del XX secolo, il jazz manouche o gypsy jazz.

Pasquale Wally Boffoli

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