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4 Giugno 2014 ,

La Banda Di Palermo LO SGUARDO DI RAME

2014 - Qanat Records/Goodfellas

La Banda Di Palermo LO SGUARDO DI RAMENon sarà certo un caso se prima di darsi il nuovo nome La Banda di Palermo, con preciso riferimento alla città di origine, si chiamasse M.I.L, acronimo di Musica Internazionale Locale, infatti la musica del collettivo palermitano (organico che varia fino a 11 elementi intorno a Giacco Pojero e Nino Vetri, fra questi Marco Monterosso collaboratore fisso dei Kali Yuga) pur saldamente ancorata alle radici isolane, abbevera la sua ispirazione a più tradizioni musicali. Insomma la sua musica potremmo definirla glocal, dove la dimensione a chilometro zero si unisce ad una sana e irresistibile voglia di aprirsi al mondo. Non stupisce così che nelle undici canzoni che compongono questo “Lo Sguardo di Rame”, che segue di sei anni il precedente “K.”, si alternino lingue, italiano, siciliano, greco, tedesco, inglese, oltre a strumenti provenienti da diverse tradizioni e a differenti ispirazioni musicali. La Banda di Palermo si inserisce a buon titolo nella grande tradizione bandistica italiana, colonna sonora della vita delle comunità, una tradizione ancora viva, soprattutto nei piccoli centri e che è stata palestra per moltissimi musicisti. Una tradizione che adesso rivive in numerose band che ne rinnovano il repertorio con interessanti e vivide contaminazioni, si pensi alle numerose formazioni balcaniche che sulla scia del successo di Goran Bregovic si sono fatte conoscere da un pubblico più vasto, ma anche agli indo-australiani The Bombay Royale o ai norvegesi Kaizers Orchestra, forse la band a cui il suono dei palermitani ci sembra più vicino.

 

Ai musicisti siciliani non manca certo il coraggio e la voglia di giocare su più tavoli, perché se la matrice è quella folk punk - quest’ultimo inteso come attitudine battagliera e urgenza comunicativa - nei vent’anni di attività i musicisti hanno potuto confrontarsi con svariati generi contaminando il suono della banda con influenze provenienti da luoghi molto diversi, dalla musica mediorientale, al jazz, al folk, al klezmer, alle varie declinazioni del rock. Come prima cosa balza evidente l’influenza teatrale e le esperienze da musicisti di strada, soprattutto nelle parti recitate che accompagnano canzoni come quella che dà il titolo al disco o La canzone dell’avvelenato o La Fiera, ma nel disco troviamo ritmi raggamuffin nella scatenata Un Due Tre, mentre in Soura Kai Mastoura, brano del musicista greco Anestis Delias, ritmiche ska si intrecciano a sonorità balcaniche. Fa la sua apparizione anche lo jodel in La canzone di Charms, mentre April e Dalla scatola sono uscite due bolle dimostrano come La Banda di Palermo sappia muoversi con arrangiamenti innovativi anche su terreni vicini all’indie in ballate più meditative e riflessive, Mi Votu e Mi Rivotu invece ripropone un classico del folk siciliano. Un plauso anche ai testi che, rifuggendo da facili e scontati slogan da manifestazione che spesso affliggono il genere, sono invece allusivi, metaforici e ricchi di suggestioni letterarie, ricorrendo ad autori come il russo Daniil Charms o l’Eliot di “Paradiso Perduto”. E allora vale la pena seguire le evoluzioni di questa banda, magari come si faceva da bambini correndogli dietro muniti di un tamburino o, meglio, di due coperchi di tegame da percuotere al ritmo scatenato dei musicisti.

Ignazio Gulotta

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