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30 Maggio 2015 , ,

Chambers LA GUERRA DEI TRENT’ANNI

2015 - To Lose la Track, CORPOC, Blinde Proteus, Shove Records, Fallo dischi, Flying Kids Records

Chambers LA GUERRA DEI TRENT’ANNIÈ davvero incredibile come quella figura sciamanica, ipnotica, trascinante che è stato Perry Farrell nei suoi anni migliori, con quel suo cantato unico, dilatato, cantilenante, abbia influenzato le costruzioni melodiche di più o meno quattro o cinque lustri successivi agli esordi dei Jane’s Addiction. Ed è altrettanto incredibile come ciò non venga mai adeguatamente riconosciuto come meriterebbe. Le linee vocali dei Chambers, benchè cantate in italiano, evocano in modo abbastanza deciso l’universo farrelliano, ma il sound generale della band è proiettato verso mille altre direzioni. Su linee di basso sempre molto presenti, a tratti pulite e veloci, in qualche modo discendenti alla lontana dal dark e dalla new-wave, a tratti invece talmente “grosse”, sature e distorte da evocare quasi dei riff di stoner, si snoda una chitarra poliedrica: sfuriate punk, acide trame psichedeliche dal sapore esotico, arpeggi flangerati remotamente ottantiani, rare dilatazioni atmosferiche ai confini del prog-rock, ma, soprattutto, tanta, tantissima pastosità noise-pop.

 

Su coordinate così vivaci ed eclettiche, risulta invece difficile cogliere in che direzione vanno i testi: le liriche, obiettivamente, sono sempre bellissime e toccanti, si passa bruscamente dal cupo inverno di Perdiamo a una primavera mogia e annoiata in A riva. La poesia delle piccole cose quotidiane che collega tra loro tutti i pezzi, dove il tedium vitae diventa quasi una flebile, timida magia da osservare, unita al tema del viaggio che si può percepire nei vari titoli (A largo, Un’isola, In viaggio, per strada), farebbe pensare a un concept-album; ma forse non lo è. Di certo sperimentare con la lingua inglese avrebbe forse giovato a un band che, a livello di sonorità e di composizione, ha tutte le carte in regola per imporsi come una valida proposta di valore internazionale, e avrebbe giovato ancora di più a quel taglio lisergico delle melodie vocali di cui parlavamo all’inizio. L’italiano, invece, talvolta risulta metricamente un po’ forzato. E questo, si sa, è un problema non certo dei Chambers ma di quasi tutte le produzioni italofone. Globalmente lavoro pregevole, che merita diffusione anche al di fuori degli stretti confini nazionali. Per la gioia dei collezionisti è interessante segnalare che di questo album è disponibile anche un’edizione limitata in vinile. Un’ottima scelta che ci auguriamo sia d’esempio anche per numerose altre bands.

 

Alberto Sgarlato

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