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18 Ottobre 2014 ,

Indù JUGGERNAUT

2014 - Slam Productions

Indu JUGGERNAUTLa storia del jazz insegna che un duo formato da soli strumentisti è quasi necessariamente artefice di una musica particolarmente ostica ed avanguardistica, poco incline al commerciale e al facile ascolto. E’ il caso di Claudio Vignali (pianoforte acustico ed elettrico, tastiere varie e sintetizzatori) e Andrea Grillini (batteria ed effetti sonori) che proseguono il cammino intrapreso dalle grandi coppie sperimentatrici di nuovi orizzonti nel passato jazzistico (Max Roach/Anthony Braxton, o Elvin Jones/Dave Holland per citare solo qualche mostro sacro d’oltreoceano ai quali potremmo aggiungere i nostri recenti Paolo Fresu e Daniele Di Bonaventura con il loro suggestivo duo tromba e fisarmonica). Piuttosto suggestivo è anche l’incontro tra questi due compositori che non si fanno (e non ci fanno) mancare nulla spaziando, magari nello stesso brano Eyeliner, da fraseggi di musica classica appena ritmati alle cascate torrenziali di pianoforte che ricordano il Cecil Taylor più tarantolato e intransigente. E se il titolo “Juggernaut” trae origine dalla tradizione sanscrita col significato di “Signore dell’universo” che gli Indu (in du-o) rappresentano col Buddha raffigurato in copertina, nel caso di questo composito album preferiamo attribuirgli il senso inglesizzato del termine quale “forza inarrestabile reale o metaforica” che poi è quella propulsiva che trapela da tasti e tamburi del duo bolognese. 

 

“Juggernaut” Ed ecco che se Icarus si muove tra la percussività onirica di una danza tribale sabbatica e funerea, Phenomenal Generation rimembra la scarnificazione di un jazz rock che qualcosa deve a Joe Zawinul, mentre Rabrofiev’s View, liquida e dolce ballata pianistica, si trasforma in cruda ruvidezza nell’ostica parte centrale. Nota di rilievo è anche l’intrusione di Achille Succi al sax e clarinetto basso che arricchisce con i suoi fraseggi indiavolati tre brani di questa bella prova d’autore che propone una sola cover, quella Van Gurdy’s Retreat di Tim Berne (uno che di avanguardie jazz se ne intende) eseguita, in barba al suo autore, solo con tastiere e batteria. Ed infine a chiudere un album poliedrico, pregno della grande caratura tecnica degli esecutori e ricco di contaminazioni, degno di nota, ma soprattutto di ascolti, che si muove tra free jazz, avanguardia colta e musica sperimentale, quasi a sorpresa, arriva A.N.S. brano orecchiabile e leggero, canticchiabile come una canzonetta, come a dimostrare che chi crea un quadro astratto sa comunque dipingere anche un vaso di fiori

Maurizio Pupi Bracali

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