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26 Giugno 2012

Arabeski Rock IL VIAGGIO

2012 - Virtual Studio

Arabeski Rock “IL VIAGGIO” Fin da quando Beatles e Rolling Stones tornarono dai loro viaggi in India con un sitar nella stiva dell'aereo che li accompagnava verso casa, il rock si è sempre mostrato assetato di contaminazioni con la musica etnica, dapprima, appunto indiana e, successivamente, avvicinando il polo d'interesse su territori più vicini: l'Arabia, i Balcani, l'Africa, il Medioriente. Con l'avvento del cosiddetto progressive rock, che faceva delle parole ricerca & fusione il proprio motto, introducendo in una matrice rock anche il jazz, la classica, l'elettronica, la contemporanea, il desiderio di mescolare il sound con vivaci trame etniche divenne molto forte. Ci provarono tra la fine degli anni '60 e i primi '70 i Gong e gli Hawkwind, gli East of Eden e gli Strawbs, alla fine degli anni '70 tornarono su questa idea in Francia gli Asia Minor (band ingiustamente sottovalutata) e in Italia Mauro Pagani, tra la fine degli '80 e i primi '90 assistemmo poi a un florilegio di bands come Ozric Tentacles, Mandragora, Soma, Oroonies, che tornavano a battere questi percorsi.

 

E in questo filone ben si inseriscono gli italiani Arabeski Rock, con il loro ottimo album “Il Viaggio”. Nella traccia di apertura, Cargo, dopo pochi secondi di fiati etnici e un esplodere di percussioni è la chitarra a reggere il tema strumentale del brano, alternandosi a uno strumento che potrebbe sembrare un sitar (ma potrebbe anche essere un campionatore, le note di copertina sono assai avare). Immaginate un Santana intinto in un'infuocata salsa harissa, anziché nei suoi consueti sapori latin-jazz. La successiva Gnawa ricalca lo schema della precedente, tanto che i due brani potrebbero essere due movimenti di un'unica suite. A movimentare i giochi ci pensa il terzo brano, Le due lune, in cui le geometrie chitarristiche si fanno più dissonanti, jazzate, sporche di wah-wah e, soprattutto, doppiate da un sax di sapore Gonghiano. Da questo momento in poi dell'album le tastiere acquistano maggior presenza, richiamando veramente molto alla mente dell'ascoltatore il paragone con gli Ozric Tentacles. Ma questo modello di riferimento svanisce nella spiazzante sesta traccia, Lost in the desert, unico brano veramente cantato del CD (in pochi altri si percepiscono solo sporadici vocalizzi) e globalmente molto diverso dall'impronta generale dell'album. Qui è protagonista una voce femminile molto alta, quasi di sapore sopranile, che duetta con una voce maschile araba che canta nella propria lingua (mentre lei canta in inglese). Il connubio risulta molto piacevolmente riuscito.

 

A concludere le nove tracce di “Il Viaggio” ci pensa Locanda, breve momento semi-acustico molto vicino al flamenco.“Il Viaggio” si conclude qui, ma è stato piacevolissimo. L'intelligenza nello scrivere i temi strumentali e la varietà degli arrangiamenti scongiurano l'effetto-noia, spesso dietro l'angolo in produzioni di questo genere. La confezione che ci è arrivata da recensire è estremamente scarna, fin troppo (e i titoli mostruosamente piccoli da leggere!) ma il prezzo di 5 euro suggerito sulla copertina è anche troppo basso. La buona musica non si svende.

Alberto Sgarlato

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