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17 Aprile 2016 , ,

GRAM. HOW CAN I SAY?

26 marzo 2016 - New Sonic Records

Il CD entra nel lettore e parte immediatamente un inizio corale “a cappella” che profuma di Beach Boys e di Byrds. Questo è l’inizio di Sun Burns in California, affascinante ballad psichedelica dall’incedere “barcamenante” che sembra quasi cullare l’ascoltatore… finché, dopo un minuto e mezzo di atmosfere acide e sognanti, esplode con un’irruenza quasi-hardcore. Due anime strane che si fondono tra loro in modo altalenante, quasi schizofrenico, nel corso di tutto il brano.

Ecco, questo è lo spirito che pervade “How Can I Say?”, dei GRAM.: una sorta di “rabbia dentro” che ogni tanto emerge in modo incontrollato e deragliante, ma che quando rimane in sottofondo, latente, fa ancora più paura, perché si lascia coccolare teneramente da una sorta di lucida follia. La bella Crazy Vegan, forse uno dei momenti più riusciti dell’intero album, ha di nuovo questo comportamento dicotomico: convulso/rilassato; ipnotico/distorto; vintage/moderno; dove la modernità è rappresentata da un cantato profondamente, enormemente Jane’s Addicition e da un chitarrismo Dinosaur Jr., mentre le atmosfere vintage sono date da slide guitars tra il rock-blues e la West Coast. Il testo è qualcosa di agghiacciante e indescrivibile, tra perversioni alimentari e riferimenti sessuali espliciti fatti proprio di odori e umori. Belle le evoluzioni chitarristiche conclusive, rigonfie di space rock.

 

Fatto decisamente inconsueto, ma sempre molto gradito: l’album conta anche la presenza di ben due brani strumentali. Il primo si intitola Southern-Western e il titolo è già tutto un programma; atmosfere e sonorità che non guasterebbero affatto come colonna sonora per un film di Tarantino o, meglio ancora, di Rodriguez. L’altro si intitola Locus Amoenus (avete notato l’eclettismo? Siamo passati dal vecchio West all’Antica Roma!) ed è tanto diverso nel titolo dallo strumentale precedente, quanto nel gusto stilistico: in bilico tra ipnosi pinkfloydiane e minimalismo post-rock à la Jim O’ Rourke. Peccato però che i due strumentali siano piuttosto brevi: il risultato è affascinante e meritava di essere sviluppato di più.

Ultimo aspetto interessante da sottolineare: i titoli del CD sono concepiti per numerazione come se andassero distribuiti sulle due facciate di un vinile, e per la precisione i primi sette sul lato A e i restanti tre sul lato B. L’imprevedibilità è la principale carta in mano a questa band romana, capace di stupire, ma anche di rapire sulla lunga distanza grazie a un ottimo senso melodico e brillanti capacità di scrittura.

 

Alberto Sgarlato

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