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29 Gennaio 2015

Gorilla Pulp HELL IN A CAN

2014 - Mother Fuzzer Records

Gorilla Pulp HELL IN A CAN  Una rapida occhiata alle uscite rock dell’anno e la sensazione ci porta all’affermazione secondo la quale esistono più definizioni e sfumature di genere all’interno del circo musicale rock che brani; tale affermazione acquista la forza di un truismo. Poi ci si imbatte in lavori solidi come “Hell in a Can” e ci si accorge di aver perso il senso delle proporzioni e forse di aver smarrito il senso nella massa crescente dei prodotti e dei significati. E dovevano arrivare i Gorilla Pulp, quartetto proveniente  dalla profonda Tuscia (Viterbo), per rammentarci invece che il rock ha a che fare costituzionalmente con un fondo duro e poroso come il tufo che colpisce a morte i nostri sensi ed in questo è il suo senso. 4  brani e 15 minuti che colorano questo strepitoso Ep dell’arcobaleno del rock nelle sue forme elementari o nella sua genesi essenziale. Come dire: al fondo non è che questo ciò che amiamo. In questa ricerca degli elementi costitutivi di ciò che violenta i nostri sensi e che chiamiamo rock Gorilla Pulp propone un sound corposo e, come si direbbe per un buon vino, molto strutturato con un retrogusto raffinato al blues. I nomi che ci girano in mente e che ci accompagnano lungo questo troppo breve ascolto sono quelli di una vita: Black Sabbath, Led Zeppelin ma anche neo-classici come Nirvana. Con King of the Jungle paghiamo un biglietto misterioso di 30 secondi, siamo subito quindi a Mean Devil Blues che apre questo viaggio con un bottleneck malato a surfare sulle corde che in un baleno si irrigidiscono tra riff stoner e una atmosfera da bohème glam d’altri tempi e soprattutto d’altri luoghi. White Mammuth ci introduce invece in un universo caleidoscopico in cui gli anni ‘90 si rincorrono e giocano a nascondino intorno a linee vocali alla Paradise Lost e sterzate alla Queens of the Stone Age. Witchcraft infine chiude il nostro breve percorso à la Proust e la nostra madelaine diviene un riff di blues graffiato che sa, non parlare di Black Sabbath che tornano alla memoria è di fatto impossibile. E forse questo è anche il limite di questo sia pur ottimo lavoro: le citazioni si affastellano l’una sull’altra troppo precise e numerose per alludere ad un senso altro; troppo passato ingombra il futuro insomma. Attendiamo quindi con ansia i Gorilla Pulp alla prova decisiva della lunga durata sperando di leccarci ancora i sensi.

 

 

Luca Gori

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