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8 Febbraio 2014

Colpi Repentini ARRIVA LO ZAR

2013 - Artigianato Musicale

Colpi Repentini ARRIVA LO ZARNel circuito della musica indie sembra quasi che pop sia diventata una parolaccia: ci si arrampica tra le definizioni più bizzarre, si inventano sempre nuove etichette pur di non pronunciare quella atroce bestemmietta di sole tre lettere. E ci si dimentica che il pop è stato quello che ha fatto passare alla storia alcuni tra i più grandi compositori del Novecento, da Burt Bacharach a Elvis Costello, da Morrissey a Marc Almond, da Brian wilson a Paul McCartney. E invece freghiamocene di tutte le etichette, di tutte le definizioni, guardiamo dritta negli occhi la realtà: questi Colpi Repentini, al di là di questo nome così iracondo e inquietante, fanno proprio del grandissimo pop! Elegante, arguto, intelligente, di squisita, deliziosa, godibile fattura. Tanto che un pezzo come Arriva lo Zar, che dà il titolo a questo breve album, con quel suo incedere di tango, quel suo testo così intriso di descrizioni retrò di bar e di whisky, potrebbe essere stato scritto da Paolo Conte per Celentano o da Bruno Lauzi per Paolo Conte o da Celentano per Gino Santercole in un’epoca imprecisa nella quale, comunque, la tv era ancora in bianco e nero e il Sanremone nazionale non durava una settimana intera fino a tarda notte.

 

Un disco elegante e vintage, ottimamente suonato da Alessio Piano (voce), Matteo Prevedello (chitarre), Andrea Terzi (tastiere), Federico Durante (basso) e Matteo Costantini (batteria), che ha dalla sua la forza di una varietà che non annoia: pianoforti ragtime e clavinet molto funky e molto black, con qualche spruzzata persino di reggae all’inizio dell’album, melodia italiana e grinta rhythm’n’blues, le scorribande notturne ad altissimo tasso alcoolico raccontate dal primissimo Vinicio Capossela, la piacioneria danzereccia ma un po’ snob di Giuliano Palma & the Bluebeaters, qualcosa de Le Vibrazioni in quel cantato così troppo sfacciatamente milanese. E, confessiamolo, una lacrimuccia vi scenderà ascoltando quel ficcante pianino elettrico, un po’ Elton John e un po’ Lionel Ritchie, in Non ti ho persa mai. Un pezzo che se passasse in tv farebbe inzuppare cuscini di pianto alle liceali che pensano al loro primo amore, un pezzo che tanti presunti compositori si venderebbero un rene al mercato nero per scrivere una volta nella vita qualcosa del genere. Però, “ganzi” davvero. E furbacchiotti quanto basta. Meriterebbero di sfondare molto di più del 90% della robaccia che le major ci appioppano a badilate quotidianamente.

 

Alberto Sgarlato

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