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16 Settembre 2021

Ricci Weekender – Giarre (CT), Orto Botanico Radicepura – 12/09/2021


Tour d’yvoir è il nome di una delle installazioni botaniche più interessanti del giardino di Radicepura, sede anche per quest’anno del Ricci Weekender Festival. La tour, è una torre – appunto – di tubi innocenti su cui si innestano prepotenti i tralci dei rampicanti. Secondo la descrizione dell’artista, la tour d’yvoir, in un gioco di parole della lingua francese, assume il significato di torre d’avvistamento, ed è un luogo simbolico in cui lo spirito romantico dell’arista trova rifugio. La descrizione prosegue con una frase: “Giardino, e paesaggio suonano insieme.”. Ad avviso di chi scrive, è questa la miglior sintesi della serata del 12 settembre: giardino e paesaggio hanno effettivamente suonato insieme. Forse anche più. Natura, cultura, musica, cibo hanno dialogato. Dall’apertura della merenda, curata da Corrado Assenza, ai fiori di zucca di Mauricio Zillo (il fiore più buono che troverete in quei giardini alle pendici dell’Etna); ciascun elemento ha rappresentato un tassello essenziale per la creazione del clima perfetto. Tuttavia, tra gli stupendi giardini dove la natura è stata addomesticata, a fare la parte del leone è stata come sempre la musica. Una musica fatta di incroci, fusioni e intersezioni tra esperienze, gusti e melodie. Perfetta sintesi dello spirito del Ricci. Del ritmo creolo, tumultuoso e profondo è stata superba interprete La Niña, al secolo Carola Moccia. La voce della nuova Napoli si presenta sul palco come una Minerva nera, a piedi scalzi. Chitarra in mano e accento partenopeo in bocca. Canta in un rituale che avvolge, travolge e incuriosisce al punto che – fin da subito – uno stuolo di accoliti si siede per terra, davanti al palco, come ad aspettare una benedizione che puntuale arriva. La timidezza di chi confessa di essere alla prima data della propria carriera è tradita dalla sicurezza e dalla maturità del timbro. Nella performance della Niña si legge spasmodica una continua invenzione della tradizione, che si intravede nella interpretazione dei brani di Roberto Murolo e nella giustapposizione ai suoi pezzi, dai sapori tradizionali e allo stesso tempo ricchi di spunti nuovi.

La storia di Afrodite, tamburo alla mano, è un inno dionisiaco in purezza. Il duetto con Marco Castello, emozionante, è uno scambio tra due autori di primo piano della nuova leva, che dialogano sulle loro tradizioni musicali. Ma il sound dai sapori esotici lo portano anche i Galathea di Massimo Napoli e Salvo Dub. Qui la ricerca di una sonorità innovativa passa per il fine lavoro le percussioni latine, mentre la Telecaster gratta sulle pentatoniche. Il risultato è un pout-pourri che ha il sapore della cumbia, del soul, del rock. Ibrida chimera riassumibile in una parola: groove. Completano l’opera Andrea Montalto e Gilles Peterson, belga trapiantato in Inghilterra che quando suona parla latino-americano. Un duetto perfetto il suo live set con Coco María. L’artista latino-americana porta dal Messico i suoni della sua infanzia, il ballo, la leggerezza, in una parola: la spensieratezza (le foto sono di Agnese Galeano). Una serata memorabile per gli amanti di questi incroci tra generi, di queste contaminazioni reciproche, di queste sensazioni perfettamente coniugate tra di loro in un’unica sinestesia alle pendici del vulcano.

Andrea Costa
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