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7 Settembre 2015

Max Weinberg Quintet 7 Agosto 2015, Savona, Santuario del Jazz


max1Da cinque anni l’assessorato alle frazioni del Comune di Savona organizza, insieme al circolo ARCI Raindogs, una manifestazione musicale in una delle più suggestive frazioni della città, Santuario, in una piazza circondata da edifici d’epoca. “Il Santuario del Jazz”, così si chiama, ha ospitato musicisti del valore di Taraf de Haïdouks, storica formazione gitana, o Pete King, ottimo sassofonista inglese che gli amanti del rock conoscono come collaboratore di Everything but the girl. Stavolta il colpo è grosso: prima data in Italia per il Max Weinberg Quintet, in cui il batterista della E Street Band dà voce alla sua passione per il jazz. E infatti stavolta il pubblico è molto più numeroso che nelle edizioni precedenti, abbondano le magliette del Boss, e non mancano personalità della politica locale.

 

Diciamo subito che quello a cui abbiamo assistito non è stato un semplice divertissement: accanto a Weinberg si esibivano musicisti di grandissimo valore, e la musica è stata di ottimo livello. Al contrabbasso c’era Cameron Brown, uno dei migliori interpreti dello max saxstrumento, già collaboratore di Archie Shepp, Don Pullen e Don Cherry; gli altri tre sono musicisti meno famosi, Dave Kikoski al piano, Brandon Wright al sax tenore e John Bailey alla tromba, ma non per questo non apprezzabili: Wright, molto giovane, si è mostrato sassofonista dal bel timbro e dal fraseggio elegante e pulito, prendendo a solo molto belli, soprattutto nelle ballad. È invece il trombettista Bailey a dare il meglio di sé nei brani veloci, con un tipico fraseggio bop, debitore di Clifford Brown. Infine il pianista Kikoski, molto lirico e intimista, che ha suonato anche un lungo brano in solo, unica composizione non scelta tra i classici. 

 

Ma la curiosità dei presenti era senz’altro scoprire come se la cava Max Weinberg, batterista tosto e potente, il perfetto ingrediente per la musica di Bruce Springsteen, il più max piùsanguigno dei rockers, in versione jazzista. Bene, se la cava nel migliore dei modi. Senza mai strafare, accompagnando con classe e leggerezza, concedendosi qualche gioco ritmico anche raffinato tra rullante a charleston, e tirando qualche bella mazzata sui timpani durante gli a solo, che non sono mai stati lunghi o esagerati, Mighty Max lascia il più possibile il proscenio ai suoi quattro amici. Il repertorio che suona il quintetto è dei più classici, si parte con Mingus, per procedere con Art Blakey, Thelonius Monk, passando per vari standards, fino al gran finale con A night in Tunisia, aperta da un lungo e intenso solo di Cameron Brown, e The In crowd, nell’arrangiamento di Ramsey Lewis. Un jazz non di difficile ascolto, ma non datato, che il pubblico ha gustato con gran divertimento. Una serata di alto livello, che, a quanto abbiamo sentito dire, è costata anche poco rispetto ad altre ben più criticabili.

 

Alfredo Sgarlato
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