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11 Dicembre 2013

Local Natives 12 Novembre 2013 , Firenze, Viper Theatre


localPer una volta, al Viper di Firenze, i nativi locali sembrano essere in inferiorità numerica al cospetto della quantità quasi imbarazzante di spettatori dalla strascicata parlata americana che profuma di spiaggia deserta al tramonto da qualche parte sulla costa californiana. Non siamo ancora all'invasione bella e buona, ma stavolta ci siamo andati molto vicini. In Europa, il loro seguito è ancora abbastanza limitato ed a quanto pare, i Local Natives, si sono costruiti una buona fama in patria con due dischi che sono un ottimo ricettacolo per gli anni 10 del ventunesimo secolo. Il quintetto losangelino si presenta al Viper in gran spolvero e mette in mostra praticamente tutto l'ultimo lavoro (“Hummingbird”, uscito nel 2012) e alcuni dei migliori brani del precedente “Gorilla Manor”, datato 2009. Scivola via bene, riescono ad essere efficaci e coinvolgenti in diversi passaggi. A partire da Breakers, mid-tempo che viene scandito anche dal pubblico, passando per Mt. Washington che rimanda addirittura ad echi dei National (lo zampone di Aaron Dessner, chitarrista della band newyorchese e produttore proprio di “Hummingbird” qui si mostra nella sua più lampante evidenza); la riuscitissima e sofferente You and I, probabilmente il pezzo migliore del concerto e della band in generale. C'è spazio anche per l'omaggio al convitato di pietra David Byrne ed ai suoi Talking Heads con Warning Sign, brano che contenuto nel loro primo disco, scopre e fa scoprire ai presenti la propensione e la voglia “art” della loro musica. Sul palco i quattro musicisti “di movimento”, eseguono i brani in scioltezza e senza ricercare particolare coinvolgimento tra di loro: Taylor Rice, alla chitarra ed al baffo è quello che si muove di più, che cerca il contatto con le prime file, forse anche rincuorato da sentire gli echi della sua lingua madre anche a decine di migliaia di chilometri da casa. Insieme al tastierista Kalcey Ayer sono i responsabili del manieristico impasto vocale, marchio di fabbrica dei cinque di Silver Lake, fatto di falsetti che si legano ora al basso intimo e qualche volta tribale di Nick Ewing, ora ai sintetizzatori dello stesso Ayer.

 

Un po' defilato e quasi in penombra rispetto agli altri è invece Ryan Hahn con la sua chitarra; si fa poco notare, esegue senza sbavature ma senza nemmeno esaltare, tant'è che tra il pubblico di italiana cattiveria c'è chi si chiede se non stia pensando di essere sul palco di un altro concerto con un'altra band. Un plauso lo merita invece il batterista Matt Frazier per le sue linee mai banali che danno ad ogni pezzo un'impronta afro-danzereccia che non guasta mai. E così, raggiunto quasi subito il picco del set, il live procede senza scossoni significativi, senza suggestioni emotive di rilievo, mostrandoci una buona live band che esegue il suo lavoro al meglio che può: World News comincia in sordina per poi aprirsi in un canto corale che è un omaggio nemmeno troppo velato agli Arcade Fire; la hit Airplanes, posizionata quasi a fondo set che re-innalza l'atmosfera che cominciava a diventare scontata; Heavy Feet ed i suoi richiami alla Grizzly Bear e ancora uno zig-zag tra vecchi e nuovi brani che mirano al catchy più sicuro fatto salvo l'accenno psichedelico e gradevole di Ceilings. Un gruppo sicuramente interessante e apprezzabile in fin dei conti. La sensazione però, sperando sia smentita dalla storia futura della band, è che sia un'altra formazione che rischia di perdersi inevitabilmente tra le asperità del terreno dell'indie rock. Ci vuole personalità per potersi distinguere sopra migliaia di altri, per evitare di trovare un'enorme buca sul quel terreno e sprofondarci dentro. Li ascolti, li osservi, li giudichi e senti che potrebbero avere quel qualcosa in più per elevarsi sopra la miriade di cloni che ascoltiamo ogni giorno. Manca la zampata decisiva, il colpo che ti ruba il cuore e ti annebbia il cervello, il live che ti cambia la prospettiva. Esci dal Viper con la speranza di poter un giorno sentire quella vampata di genialità. Fingendo di non ascoltare gli elogi senza ammissione di replica delle prime file a stelle e strisce. A loro non è parso vero.  

Alberto Niccolai
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