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11 Agosto 2013 , ,

Deerhunter Deerhunter – 25 Giugno 2013, Milano, Circolo Magnolia


deerhunter Sarà una coincidenza, ma in questo periodo sembra che musicalmente parlando lo shoegaze (o Nu-Gaze come lo chiamano adesso) sia tornato prepotentemente di moda e così la serata milanese degli americani Deerhunter vede sin da subito una buona affluenza di pubblico indie ben disposto all’ennesima dose di noise e feedback lancinanti. La band di Bradford Cox si presenta sul palco poco dopo le 23 e a seguito del set degli italiani Giöbia, che avevo già visto recentemente aprire per i Palma Violets, autori di una buona mezz’ora di rock sperimentale. Ma torniamo ai Deerhunter: sono una formazione a cinque con quattro chitarre ad erigere sin da subito un muro sonoro fatto di rock psichedelico con ritmiche e melodie che lo attraversano di tanto in tanto a dare un che di beat easy-listening alle atmosfere altrimenti cupe espresse dalla band in questo tour di promozione del nuovo lavoro “Monomania”. Cox è scatenato e così tra piccoli problemi tecnici iniziali che gli fanno interrompere il concerto, domande al pubblico su chi ora, dopo la condanna a B. presiederà il nostro governo (ci domanda se sarà il Papa), citazioni a Pasolini e l’invito a recarsi al banchetto del merchandising a ritirare gratuitamente dei sassi decorati (si avete letto bene, che possa essere l’ultima moda hypster?) si rivela autentico animale da palco, vero faro nella notte della band
georgiana.

 

deerhunter

Certo, l’accoglienza per il gruppo di Atlanta è, a dire il vero, un po’ freddina ma la gente sta in piedi ad assistere al set in religioso silenzio non tanto per disinteresse quanto piuttosto intenta a non perdersi neppure un riff delle chitarre come immersa in una bolla sonora di sicuro effetto. Dopo un’ora abbondante di concerto, Cox ci rivela anche di indossare una parrucca e si mostra in tutta la sua  indifesa dolcezza per quel corpo scheletrico e segnato dalla malattia che lo ha colpito sin dalla nascita (è affetto dalla Sindrome di Marfan). Fine del set e ritorno per un encore di altre quattro canzoni per una buona ora e mezza di concerto. A voler trovare un difetto in una performance comunque avvincente e convincente, forse si può parlare di un eccessivo prolungamento delle code strumentali di alcuni pezzi che rischiano di distrarre dall’ascolto allontanando dal mood rumorista appena creatosi. Certo l’eredità sonica di Jesus & Mary Chain e My Bloody Valentine (peraltro poco intenzionati ad abbandonare la nave)  è ancora tutta da deerhunterassegnare, divisa come si presenta oggi tra gente come Amusement Parks on Fire, The Horrors, The Pains of Being Pure at Heart, A Place to Bury Strangers, Mets, Silversun Pickups, giusto per citarne alcuni, ma i nostri si candidano seriamente  ad un posto da ricordare nella chiesa del rumore.

 

Ubaldo Tarantino
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