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7 Novembre 2019

Brian Auger’s Oblivion Express 02/11/2019, Pisa, Deposito Pontecorvo


Anche se le uscite di dischi con materiale nuovo si sono assai diradate nel corso degli anni, l’attività concertistica di Brian Auger si è incredibilmente – considerando il ragguardevole traguardo degli 80 anni appena raggiunto – mantenuta piuttosto costante. Da una parte il tastierista inglese, residente negli ultimi anni in California, non ha disdegnato il proficuo ruolo di turnista (che lo ha portato anche in giro per il mondo con la nella band di Zucchero), dall’altro ha tenuto alto, magari di fronte a platee meno numerose di un tempo, il glorioso vessillo del suo Oblivion Express, il più duraturo di suoi gruppi, almeno nominalmente, essendo attivo ormai da quasi mezzo secolo. Nella formazione molti musicisti si sono avvicendati, fino a comprendere - ormai da metà anni ‘90 - anche il figlio Karma alla batteria e, in una fase, anche la figlia, ormai da tempo allontanatasi dal gruppo “di famiglia”. A mantenere un legame con la line-up più classica avrebbe dovuto esserci, a fianco del titolare, Alex Ligertwood, già nei ranghi sin dalla prima stagione dell’Oblivion Express, prima di prestare la propria ugola, per oltre un decennio, alla band di Carlos Santana. Il cantante scozzese, sembra per motivi di salute, ha però dato forfait e al suo posto troviamo la giovane cantante e percussionista di origini sudamericane Liliana De Los Reyes, reclutata appositamente per la parte italiana di questo tour. Nel suo curriculum, per capire al volo il suo background, spicca il ruolo di corista per George Benson. L’attuale formazione è completata poi dal valido bassista Andreas Geck. Il concerto è preceduto dal piacevole set del duo nostrano composto da Alessandra “Cekka Lou” Cecala, contrabbasso e voce e da Professor Pee We (al secolo, Paolo Durante), tastiere, dedito a un repertorio jazz e soul interpretato con notevole swing. Alle 22:30 in punto sale sul palco la band di Brian Auger. Sin dal subito l’anziano tastierista inglese fa capire di cosa è (ancora) capace. Le sue mani scorrono veloci sulle ben tre file di tasti (ai due “piani” dell’hammond dobbiamo infatti aggiungere il terzo della tastiera impilata sopra!), creando un groove irresistibile. Il pubblico del Deposito Pontecorvo si entusiasma sin dalle prime note di Save Me, scelta come brano di apertura. La presenza di una voce femminile contribuisce senz’altro a spostare il repertorio verso quello dei Trinity, quando a fianco di Auger c’era Julie Driscoll. Fare paragoni sarebbe ingeneroso, ma la ragazza mostra di avere grandi doti. Quel che le manca magari è un po’ di personalità, ma del resto non possiamo che giustificarla, essendo chiamata a svolgere un ruolo non facile, oltre ad avere avuto necessariamente poche settimane, se non addirittura pochi giorni, di rodaggio. Il sound della band è quello ormai canonizzato dall’Oblivion Express sin dall’epoca dell’album “Second Wind” (1972), ovverosia da quando, distaccandosi dalle ultime tentazioni prog del debutto, Auger si è assestato su una miscela di fusion, soul jazz, rock a tinte latine e funk, piuttosto distante dalle sonorità più torride e avventurose dei Trinity degli anni ‘60. Al di là dei brani in scaletta, forse qualcuno avrà quindi trovato le sonorità proposte un po’ laccate e un tantino più furbette, rispetto a quelle dei Trinity, ma tant’è: questo è ormai da tempo lo stile di Auger ed è comunque un bel sentire. I brani si susseguono senza punti deboli (come si suol dire: all killer, no filler!), intervallati da qualche simpatico ricordo del tastierista, che parte quasi sempre parlando in italiano, per poi aiutarsi finendo la frase in inglese. Come forse si saprà, il musicista ha vissuto per anni in Sardegna, dove aveva messo su anche famiglia Il concerto prosegue con due classici dei primi anni ‘70, sempre accompagnato dall’euforia di un pubblico molto caloroso: si passa così da Happines Is Just Around The Bend a Straight Ahead, che confermano quanto appena sopra detto e che ricordano come il nostro, nei primi anni ‘90, sia stato individuato come uno dei padrini dell’allora nascente scena acid jazz. Quanto meno per le sue dita funamboliche, il tempo senza esservi davvero fermato. Si prosegue ritornando sul territorio dei Trinity, con Season Of The Witch, cover rallentata del classico di Donovan, già sul loro primo album “Open”, del 1968. La versione di Indian Rope Man, scritta da Ritchie Havens e presente su “Streetnoise”, ultimo e migliore tra gli album della prima formazione di Brian Auger, viene dilatata fino ai dieci minuti, con presentazione dei musicisti che si producono ciascuno in un conciso assolo. Dopo la lenta Road To Cairo, altro brano in cui la giovane cantante cerca ancora di emulare le gesta della Driscoll, i ritmi tornano più ballabili con Sundown e per gli ultimi brani in scaletta: Whenever Your’re Ready e Compared To What, altri pilastri della più redditizia stagione, almeno a livello commerciale, dell’Oblivion Express (quella dei primi anni ‘70, appunto), intervallati dall’immancabile cover di Bumpin’ On Sunset, sentito omaggio a Wes Montgomery in cui la Del Reyes inserisce anche una fugace parte vocale. Il gran finale, dopo dopo un’ora e mezza abbondante, è riservato a Light My Fire, eseguita con l’arrangiamento riservatole già in “Streetnoise” cinquant’anni fa. Si chiude così una serata forse all’insegna della nostalgia, dove il brano più recente risale alla metà degli anni 70, ma che ha offerto forse più di quanto avremmo potuto ragionevolmente attenderci da questo ormai stagionato mago dell’organo, che proprio a proposito della sua lunga carriera, ha introdotto un brano con una battuta, dicendo che il suo primo album era stato pubblicato “al tempo in cui Giulio Cesare venne in Inghilterra”!

 

Filippo Tagliaferri
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