Migliora leggibilitàStampa
26 Novembre 2013 ,

Body/Head 28 Ottobre 2013, Bloom di Mezzago


body_headEsistono vari tipi di concerti, quelli in cui vai ad ascoltare band che conosci perfettamente per il puro gusto di ri/ascoltare la musica che ti piace da sempre, ci sono gli show a cui partecipi per pura curiosità, perché ti ha portato lì un amico/amica/compagna, perché costano poco, perché è sabato sera e non c’è niente da fare. Poi ci sono quei concerti in cui non sai bene cosa ti aspetti ma allo stesso tempo sei sicuro che chi salirà sul palco riuscirà in un modo o nell’altro a comunicarti qualcosa, e se l’interprete in questione è Kim Gordon, colei che insieme a Thurston Moore ha fondato i Sonic Youth, una delle band più influenti di sempre nel panorama della musica indipendente, il concerto si trasforma rapidamente in evento, uno di quelli in cui bisogna esserci. Ma non tutti la pensano così. Il Bloom di Mezzago dove si è svolto l’evento è ben lontano dal registrare il tutto esaurito, se al posto di Body/Head del duo Kim Gordon e Bill Nace ci fosse scritto Sonic Youth sui manifesti, saremmo stati stipati come tante galline in gabbia, fra camicie e magliette sudate di tre generazioni di rockers, ma eravamo circa un centinaio di persone ed a dirla tutta andava bene così, l’esibizione a cui ho assistito ha confermato la nostra sensazione. Non era da tutti. Sorvoliamo sulla band di apertura, citiamo solo il nome per dovere di cronaca: “Makhno”, una one-man-band composta da un chitarrista ed i suoi campioni elettronici, un surrogato di quello che hanno fatto gli “Youth” nei primi 15 anni di carriera, un bignamino del tutto superfluo che ha cercato di intrattenere per circa una mezz’oretta qualche spettatore che vagava tra il palco ed il bancone del locale. Senza Voto. Alle 23 precise il concerto, quello vero, ha inizio. Una proiezione domina le spalle del palco, una sequenza slow motion in bianco e nero stile Cassavetes che ritrae un salotto di un appartamento, un salotto abitato da una donna ed un uomo, inizialmente distanti si avvicineranno sempre di più in un clima dominato da un senso di incomunicabilità e frustrazione. Kim sale sul palco insieme al socio Bill Nace, due musicisti, due chitarre e qualche distorsore, nient’altro. Il concerto che ne verrà fuori è stata un’esperienza devastata/devastante. I brani sono lunghe suite di distorsioni e feedback dove a turno emergono alcuni riff ed una parvenza di armonia., la vena del noise e dell’improvvisazione scorre copiosa nelle vene dei due musicisti, amici di lunga data ma diversi ovviamente per notorietà.

 

La voce di Kim Gordon è oscura e sgradevole, entrambi i musicisti sembrano due spettri immersi nel salotto ritratto nella scena proiettata sul palco, la foga con cui la ex Sonic Youth maltratta la sua Fender è elettrizzante, in quel momento ti accorgi che per certi artisti il tempo non è altro che un fattore secondario, e che potevamo trovarci tranquillamente nel 1980, e che quella signora di 60 anni sul palco è la giovane studente d’arte affascinata dalla No-Wave che in quegli anni stava nascendo nella Lower East Side di New York. La perfomance alterna momenti di puro rumore a sessioni chitarristiche stile Spacemen 3 ma più lisergici, il pubblico segue in religioso silenzio applaudendo ad ogni pausa, ogni tanto si nota qualche flash delle macchine fotografiche e l’onnipresentebody/head luminosità di decine di smart phone protesi a catturare immagini e suoni. Alcune ragazze scambiano qualche battuta sulle scarpe indossate da Kim Gordon, e dobbiamo sottolineare che questo è un po’ emblematico e svilente dato che questo concerto, come l’album che promuove (“Came Apart”), è un concept su alcuni lati oscuri dell’universo femminile, non certo un tema di Sex and the City, ma anche questo fa parte dello show. Le chitarre si intrecciano in un vortice orgasmico prima di chiudere con dei profondi silenzi alternati a pennate selvagge. Dopo un ora il concerto è finito. Non ci sono bis (giusto così), e si prende rapidamente la via del ritorno. Ieri è il giorno in cui è morto Lou Reed, il mondo della musica è in lutto, ha perso uno dei suoi figli prediletti. Lou Reed aveva 71 anni ma i suoi equivalgono a 200 di una persona normale, questo per esperienze, stravizi ed intensità. Insomma, il tempo passa e le persone muoiono, questo vale per Lou Reed come per l’anziano verdumaio del palazzo accanto, ma questo ci fa capire anche che l’età è un fatto del tutto relativo, così come la ventenne che suonava sul palco agitando i capelli biondi in un mare di distorsioni e di sudore, una ventenne nata 60 anni fa, a cui dobbiamo tutti qualcosa, ogni giorno di più.

 

Nick Zurlo
Inizio pagina