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11 Marzo 2013 , ,

Arbouretum 7 Marzo 2013, Circolo degli Artisti, Roma


arboretumlive«Intensi, emozionanti e colti»: così la prestigiosa rivista inglese Uncut ha definito gli Arbouretum. E a ragione. La band di Baltimore torna a Roma un anno dopo il concerto dell’aprile 2012, ancora al Circolo degli Artisti. Undici mesi fa era il tour promozionale del bellissimo “The Gathering”, per il quale i quattro portavano in dote anche l’EP “Covered in Leaves”, testimonianza d’amore e devozione verso i padri putativi Bob Dylan, Creedence Clearwater Revival, John Martyn e Pure Prairie League. Oggi tocca allo straordinario “Coming Out of the Fog”, già in lizza per essere in cima alle classifiche dei migliori album del 2013. La maturazione della formazione guidata dal geniale Dave Heumann è definitiva. Disco dopo disco gli Arbouretum completano un percorso. Dalle asprezze dell’esordio “Long Live the Well-Doer”, passando per il sorprendente “Rites of Uncovering”, giù fino alle meraviglie di “Song of the Pearl” e delle due ultime uscite. Il folk, il roots rock, le radici del sound Americano hanno trovato perfetto complemento nell’hard acido e lisergico che il gruppo emana da canzoni ammalianti, circolari, profonde, naturaliste, meditative. Purtroppo il Circolo non è pieno come dovrebbe. Il giovedì romano fa pagare dazio.

 

In apertura Radio Rock spinge per tali Urock, band italo-americana che ha debuttato con un lavoro prodotto da Alan Parsons e Jack Endino. Nessuna accusa specifica ai cinque, che suonano bene e sembrano avere una sana attitudine: è piuttosto evidente come questi ragazzi siano finiti qui per sbaglio (leggi: bieche logiche di mercato). Il loro rock è totalmente fuori contesto, duro e gentile il giusto per non scontentare nessuno. Le cover di La società dei magnaccioni e Anarchy in the UK lasciano basiti per pochezza e prevedibilità. Certe dinamiche è meglio non affrontarle, vogliamo oltrepassare dinanzi arbouretum live romaalla classe degli Arbouretum. Le 22.30 sono passate da un pezzo e finalmente Dave Heumann (chitarra, voce), Corey Allender (basso), Brian Carey (batteria) e Matthew Pierce (tastiere, percussioni) sono sul palco. Un paio di feedback e si parte con All at Once, The Turning Weather e World Split Open: prodigio puro ed immediato. I suoni sono sufficientemente equilibrati, anche se potrebbero spingere di più. Ci pensa Heumann a porre rimedio aprendo la sua chitarra e fagocitando gli astanti in un universo fatato. La grande capacità degli Arbouretum è quella di attirare il pubblico in un vortice: prendete brani come The Promise, When Delivery Comes e False Spring. La melodia ti attrae, entri nella canzone, sei certo di essere in un percorso di crescita e conoscenza.

 

E invece, quasi all’improvviso, parte una jam hard psych così avvolgente, magmatica, fumosa, che ti senti perso e non ricordi più dove tutto sia cominciato. Persino le parentesi più traditional del concerto – Coming Out of the Fog e The Highwayman, ormai un classico posto in chiusura e richiesto a gran voce – sarebbero capaci di smuovere un burbero. Figuriamoci chi è cresciuto a pane, Grateful Dead e Neil Young. Proprio al periodo più fuzzy, drogato e psichedelico dei Crazy Horse sembrano guardare dal vivo i quattro americani. Persone timide, rispettose, di poche parole e tanti fatti. Sembrano in pochi tra gli astanti ad accorgersi della magia che si sta vivendo. Dave Heumann è un chitarrista fantastico ed un compositore versatile, tra le migliori penne oggi in circolazione. Corey ha un muro sonoro impressionante, quasi quanto la sua barba (dov’è finita la maglietta dei Napalm Death?). Brian ha la faccia del bravo ragazzo della porta arbouretumaccanto, che si anima quando si parla di ritmica. Matthew sembra un marinaio appena sbarcato a Inner Harbor, eppure la consistenza ipnotica che tastiere e percussioni donano al sound della band è fondamentale. Lo show dura poco più di un’ora e si ha voglia di averne ancora. Perché «when delivery comes, I'll be waiting for it on the high ground, in the sun there underneath the billowing».

 

Alessandro Zoppo

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