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11 Aprile 2015 , ,

8 Hour Technicolour Dream: Kaleidoscope + Loons + Glenn Campbell’s Misunderstood & Loons 3 aprile 2015, Londra, Le Beat Bespokè


LBB10_8HTD_A3_posterIl kaftano è lo stesso che indossava sulla copertina di Tangerine Dream. La voce - quel meraviglioso richiamo da pifferaio magico - idem. L’eleganza e il carisma pure. Lo spirito da Peter Pan psichedelico, beh quello non parliamone neanche. Peter Daltrey è l’uomo che probabilmente vorrò essere a 70 anni, o quanti ne ha oggi. Era il 1967 quando lui e i suoi Kaleidoscope esordivano con il loro primo album, uno dei più fulgidi gioielli di quell’annata benedetta. Era il 1987 quando il sottoscritto ne scoprì l’esistenza - il gruppo ormai sciolto da diciassette anni e sostanzialmente dimenticato - leggendo un articolo su di loro nella rubrica Perfumed Garden di Rockerilla. È una sera londinese del 2015 - fredda a piovosa come da copione - quella in cui finalmente riesco a coronare il technicolour dream di sentire dal vivo quelle canzoni, cantate da quella voce. Ma in fondo cosa sono quattro o cinque decenni tra amici? Eccoci qui, dunque. Il concerto “dei Kaleidoscope” (in realtà Daltrey e il vecchio batterista Dan Bridgman, questa sera in veste di percussionista aggiunto, insieme alla giovane band scozzese Trembling Bells) si tiene all’interno del festival Le Beat Bespoké, riunione plenaria di tutte le tribù vagamente “sixties oriented” di Londra - c’è un po’ di tutto: mod, beat, garage, psych, heavy freak, northern soul fan - ed è pinzata in mezzo a due esibizioni decisamente hot dei Loons di Mike Stax.

 

Loons - Glenn Campbell's Misunderstood & Loons

 

maxresdefaultNella prima il gruppo californiano presenta il suo materiale - garage/r’n’b di eccellente fattura, come ci si può aspettare dall’uomo che ha inventato e porta avanti da trent’anni una rivista fedele alla causa come Ugly Things - chiudendo con una versione potentissima di You’re Gonna Miss Me. Nella seconda si mettono al servizio del repertorio - scarno, ma a modo suo immortale - dei Misunderstood, dei quali è presente sul palco, con la fida lapsteel dalla quale cava fuori suoni ultraterreni, il membro originale Glenn Campbell, altro settuagenario in formissima. Children of the Sun, suonata anche in un bis nel quale spunta pure l’altro chitarrista-leggenda Tony Hill, è semplicemente devastante.

 

 Kaleidoscope

 

In mezzo ai due set, appunto, Peter Daltrey e i suoi ragazzi (e ragazza: la splendida Lavinia Blackwall, alle tastiere e chitarra). Già dalle note tremule dell’attacco di Dive Into Yesterday si capisce che la magia è intatta. Ed è davvero un tuffo di testa in uno “ieri” che solo pochissimi nel folto pubblico presente hanno potuto vivere in tempo reale, ma del quale canzoni  come queste hanno saputo offrirci un simulacro credibile in tutti questi decenni. I brani dei Kaleidoscope del resto hanno sempre avuto una peculiare qualità favolistica, un potere incantatorio e gentile che come poco altro sa rendere quella che - forse -era l’atmosfera di quel periodo. La scaletta pesca più o meno equamente in tutti e quattro gli album della band: "Tangerine Dream"  del 1967 (A Dream for Julie, Flight From Ashiya, In The Room of Percussions, The Murder of Lewis Tollani, una commovente, infinita The Sky Children), “Faintly Blowing del 1969 (la title track, Snapdragon, l’euforica e rumorosa Music che kaleidoscope livechiude trionfalmente il concerto), “From Home to Home” del ’70 (uscito a nome Fairfield Parlour, dal quale vengono riprese la dolcissima Monkey, Free e il singolo extra-lp Bordeaux Rose) e il disco “postumo” “White Faced Lady”, sfortunato concept dal quale è estratta Song for Jon.

 

 

La resa dei brani è eccellente, per nulla legnosa - i Trembling Bells sono del resto un gruppo di grande versatilità e con un ottimo interplay - e l’accoglienza calorosa come avrebbe potuto essere solo nella Swingin’ London. Un attimo: forse eravamo20150403_221418 davvero nella Swingin’ London. Un concerto come questo è anche una lezione impagabile su come gli inglesi mantengono in vita le loro sottoculture. Nel pubblico, composto in gran parte di gente vestita in modo pazzesco (roba a metà tra Blow Up, Austin Powers e I Love Radio Rock) si andava dalle ventenni modettes con i completi optical ai settantenni simil-Gandalf passando per i quarantenni con gli occhiali kaleidoscopei live1colorati e le camicie paisley, e tutti - tutti - cantavano a memoria ogni singola parola delle canzoni. E non stiamo parlando esattamente del repertorio dei Beatles o degli Stones. Con un po’ di fantasia, è facile pensare che in sala ci fossero anche i protagonisti di quelle canzoni. Tutte le Julie, le Nellie Goodrich, le Bordeaux Rose, le Jenny Artichoke, le Emily, i Lewis Tollani, gli Spike Casperak, i Mr. Small riparatori di orologi e il resto di quegli sky children che provarono per un attimo - solo per un attimo - ad acchiappare le stelle. 

Carlo Bordone

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