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23 Agosto 2012

Alyn Shipton Nuova Storia del Jazz

2011 - Einaudi

shipton

Non è certo breve il secolo del jazz che il britannico Alyn Shipton ci restituisce nella sua imponente “Nuova storia del jazz”. L'autore, affermato critico musicale del Times e curatore di programmi jazz per radio BBC, vanta una decina di monografie pubblicate sull'argomento e la collaborazione al The New Grove Dictionary of Jazz. Variamente ricca la biblioteca storica del jazz: alcuni tomi sono ingialliti (Panassié, Delaunay), altri consumati; molti i fuori catalogo (editori, urgono riedizioni!), ma la mole del volume di Shipton ben si allinea accanto a quelli di Berendt, Feather, Schuller, a Jazz di Arrigo Polillo, ai libri di Roncaglia o a quelli più recenti di Mazzoletti e Zenni. Nelle intenzioni dell'autore, la Nuova storia del jazz è una sorta di «summa» di tutte le precedenti storie, con l'ambizione di delineare percorsi di ricerca e analisi innovative, allargando e stringendo gli orizzonti, a volte consapevolmente, a volte con mediazioni non sempre motivate nelle conclusioni (anche provvisorie) cui perviene, ma è certamente il lavoro più approfondito e aggiornato ora disponibile.

 

A nulla valga il tentato raffronto con il volume di Polillo: troppo diverse le impostazioni seguite dai due autori o i differenti strumenti di ricerca a loro disposizione. Il nostro sguardo qui devia su altri fondamentali lavori, di diversa matrice. Shipton pare non aver seguito l'orma profonda lasciata su quel terreno insidioso della storiografia jazz, con una coltre però già ben dissodata in passato da Barry Ulanov o da Eric J. Hobsbawm: privilegiando altri strati, in luogo della storia sociale, egli intende fornire una prima soluzione «globale» ai nodi irrisolti del jazz, fino alle soglie del terzo millennio, disegnando il «suo» vero albero della musica afroamericana. Il tronco dell'albero jazz by Shipton non è quello di una betulla, è invece una sequoia con radici profonde, in parte ancora sconosciute; linguaggi come rami a volte monchi, a volte riprodottisi per talee immaginarie, o per gemmazioni successive e consequenziali.

 

jazzE il loro futuro? Le mille varianti dei fulmini della storia hanno sbrecciato la dura corteccia del tronco, incidendovi intarsi, sintassi, paradigmi: new orleans, dixieland, swing, big band, bands of bond, bop, cool, hard bop, soul jazz, mainstream, third stream, free, post free, fusion, new bop, new thing, new revival, vocalese, world music (including acid-jazz!). A quando il «post-jazz»? Con atteggiarsi discretamente british, Shipton segue una sua coerente impostazione analitica, tutta «interna» allo sviluppo delle fasi storiche ben definite nel loro evolversi, negli intrecci tra linguaggi e le "svolte" più o meno epocali (nell'attesa del nuovo "genio", dopo Coltrane), i continui cambi di casacca, con il «mercato» degli artisti propugnato dalle major già alla fine del secolo scorso e ora deflagrato, o le consuete dispute tra musicologi improvvisati (o travestiti da promoter occasionali).

 

Dettagli: per Shipton i brillanti esiti della «Prima Jam Session Pubblica Inglese agli studi Abbey Road della EMI nel novembre 1941» registrata a Londra, «anticiperebbero» le idee di Norman Granz, l'ideatore del Jazz at The Philarmonic (JATP) e impresario discografico (Mercury/Clef), con una differenza sostanziale non rilevata dall'autore: l'incisione londinese in studio è «pulita» diversamente dai concerti live del JATP registrati in teatri affollati, con i loro brusii e gli applausi che si avvertono all'ascolto.

 

Duelli: la mai sanata contrapposizione sfociata negli anni quaranta tra «the modernist» (difesi da Barry Ulanov) e i reazionari «moldy figges» («fichi ammuffiti», nella definizione di Leonard Feather) sembra percorrere molta parte del volume, anche laddove i riferimenti assumono definizioni e volti diversi in molti capitoli.

 

alyn shiptonDisastri: fino all'uragano Catrina del 2005, New Orleans offriva facilmente ingaggi ai giovani artisti cultori della tradizione classica in contesti vari (bar, club, convention): dopo la catastrofe, l'impegno in difesa del linguaggio delle origini pare irrimediabilmente svanito, un fenomeno che Shipton affronta qui in profondità.

 

Discografia: per l'autore, questa disciplina di ricerca applicata solo al jazz (non ad altre musiche), rimane sullo sfondo; di qui alcune lacune, facilmente rimediabili in una seconda edizione. 

 

Conclusioni: la Nuova storia del jazz di Alyn Shipton è comunque un libro importante per la storiografia della musica afroamericana, frutto di autentica passione, sfociata in una smisurata ricerca. Il volume, arricchito da un prezioso apparato iconografico, è ben curato da Vincenzo Martorella che, oltre ad una esaustiva appendice (glossario, discografia, bibliografia, indici dei nomi, dei dischi e dei brani), ci sorprende con il saggio Il saltarello del cannibale, breve ma intenso excursus «all'incontrario» sulle vicende del jazz italiano, del tutto trascurato da Shipton: proprio su quel «saltarello» dovremo tornarci.

                                                                                                                                

Luciano Viotto

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