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11 Agosto 2014

Rocco Sapuppo MADRIGALI DELL’ADDIO

2014 - Editoriale Agorà, Catania, pp. 128, € 12.00

ADDIOLa poesia da sempre vuole essere un moto dell'anima che si schiude a intime rivelazioni, sonda un intricato territorio emozionale e prova a cantarne le intricate simbologie, metterne in rima l'essenza, coglierne l'arcano misticismo o, almeno, alcune sue parziali ombre. Ciò che appartiene all'arte, all'ispirazione, ad un profondo introspettivo tanto recondito e personale, difficilmente può trovare un'interpretazione univoca e razionale. Trovarsi fra le mani un libro di poesie e tentare di descriverne la finalità, l'ermeneutica esatta è forse impossibile pure per lo stesso Autore che le ha concepite, figuriamoci per chi ci si accosta attraverso una lettura che, per forza di cose, dovrà tralasciare tanti piccoli sensi nascosti o, magari, trovarne degli altri a cui l'artefice non aveva neppure lontanamente pensato! Compito arduo quanto affascinante che richiede un approccio in punta di piedi, per non intaccare la lievità e la volubilità della sostanza stessa della poesia, della sostanza di un sogno o di un lampo intuitivo tracciato sopra un foglio e rimesso alla sensibilità di chi lo sa far proprio. Il volume del poeta Rocco Sapuppo raccoglie 99 composizioni suddivise in tre capitoli: I Madrigali dell'addio, L'ultimo viaggio di Swann, Ad altezza d'uomo. Al libro si corredano otto disegni minimali di Giusi Amara, otto volti di donna abbozzati nel bianco e nero della matita che tentano di cogliere e materializzare la grazia di una musa ispiratrice di versi in cui l'umano è solo proiezione e l'unico personaggio è forse, in rari casi, un riflesso vago dell'Autore stesso.

 

libro1Come puntualmente precisato nella vibrante e acuta prefazione di Renato Pennisi, una caratteristica del libro che si rende immediatamente ravvisabile è la sua 'natura unitaria', un'omogeneità ideologica che pone al centro della celebrazione, si osi dire del canto (date le non poche affinità che man mano si svelano tra poetica e musicalità) la poesia stessa, ritraendola in tutta la vasta gamma di sfumature di colore di cui l'artista è capace. rocco sapuppoLa poesia come estremo e disperato appiglio che fugge da un vuoto esistenziale fatto di un niente che è superficialità e banalità per proiettarsi in un vuoto profondo e rovellante che del niente si nutre. Un'intuizione mai fissata, una ricerca disperata e fatua sono le inquietudini del poeta che cerca di cogliere il segreto del mondo e tracciarlo su un foglio con una biro. La poesia è reminescenza destinata ad infrangersi, koinè che cripta il linguaggio dell'origine, scintillio di assoluto. Mai essa può essere separabile da uno stato d'animo cupo e crepuscolare perché racchiude la spietata e lucida ricerca del perduto in un esilio irreversibile. Tra le metafore più eloquenti c'è la rottura delle ali, lo schianto in volo, l'esplosione, effluvio- aspersione, di un corpo trafitto, l'ardire di un innalzarsi e il pirotecnico sfaldarsi nella folgorazione dell'attimo (farfalle, angeli, cigni, passeri, rondini, petali di fiori):

 

Asterion

"Sono ali di angeli, quelle che cadono in pioggia d'oro sul costato,

o petali di gigli del pensiero di morire che non s'è fatto verbo

nel notturno silenzio della pagina?

Tuttavia, io continuo, persevero:

io cerco le parole che tessono il filo del finire."

 

Te salutant

"...oltre il filo del crepuscolo

dove ogni cosa conosciuta ha fine,

dove il possibile è una curva che si spezza

in vista del commiato."

(...)

"...parusia dei sogni spezzati nel fiato del germoglio,".

 

Ciò che rimane

"Nel giardino della fioritura,

la grazia dell'ultimo appassire".

 

Seconda passacaglia per la caduta degli angeli

"Farfalle che battono sui vetri dell'unica finestra,

dipinta su muri immaginari;

non importa lo schianto, né il sangue d'oro

versato in calici di finta brezza:

Soltanto il volo è vero."

 

sapuppoSi configura così l'essenza stessa che il nostro Autore attribuisce alla poesia. Ricerca. Dell'amore e della grazia, delle vette alte e nobili del nostro sentire consapevolmente imperfetto. Semmai sia possibile cogliere tra le righe di questi versi un qualche sinottismo traspositivo, una maieutica che raccolga le fila di tanta complessa maestosità si dovrebbe forse decriptare il concetto di 'addio'. L'addio è l'istante della separazione. Un momento di estrema intensità in cui si uniscono i sentimenti reali e le aspettative ideali di ciò che si perde. L'addio è consapevolezza di non appartenenza. Lo si può rivolgere a qualcuno di grandemente amato, e nei versi di Sapuppo la poesia quasi finisce per identificarsi con una donna ideale e irraggiungibile: quell'infinito concettuale ed evasivo in cui si colloca l'oggetto del desiderio. Un desiderio purissimo, probabilmente ilgiusi ricordo ancestrale dell'unità corpo-anima, l'armonia delle origini. L'addio si rivolge inoltre a ciò che si rifiuta, a ciò che non ci calza poiché non conforme al nostro sentire: un mondo omologante, piatto,  incapace di custodire l'inatteso. L'esilio è allora quasi un estremo appiglio, una ideale posizione di osservazione. L'isola dove il pensiero può andare alla deriva e proiettare il proprio scintillio di perfezione, in una nostalgia del cuore che tutto deforma e tutto apre a nuove prospettive. Esilio dunque seconda delle parole chiave di questi madrigali. La terza parola è puramente ideale. E' legata al concetto di morte ma una morte intesa come caduta-rinascita, un finire cosmogonia del nulla tutto:

 

Preludio e fuga

"Passando tra sistole e diastole,

il pensiero filtra l'apparenza,

decifra visioni, incendia il cuore delle forme,

erige cattedrali nel cielo di una riga."

 

La magia e la perdita

"Poi l'ora fonda dei morti

batte alla porta del cuore

recando in dono parole."

 

Canto di Asterion

"E' il poema del tutto che si fa niente, al tocco delle dita,

filosofica quiete che prelude a ecpirosi

nei calici screziati della dimenticanza:

cade l'ultima luce, come una foglia secca, sulla terra."

 

In ipostasi

"(...)

 ma uno stato segreto della mente

che pensa se stessa come un cielo infinito,

e custodisce parole

come stelle spezzate."

 

Ecco allora svelarsi il prodigio di una poesia incredibilmente moderna ma che sa attingere alle sue più nobili origini. Una poesia che celebra se stessa staccandosi  da tutto ciò vorrebbe relegarla in una qualsivoglia dimensionalità materica. Una poesia che sussurra l'indicibile nel suo ritmo. Ritmo di colori policromi e sfumature impalpabili, ritmo di note lievi che cantano la fine come preludi che si aprono a nuovi inizi, facendo danzare la fiamma mistica del divenire. Verrebbe da pensare alla tradizione orfica e socratica che muoveva la propria speculazione tentando di individuare nell'umano i frammenti nascosti del divino. La teogonia racchiusa in una celebre frase del Gorgia platonico in cui si cita Euripide (non a caso il sommo poeta tragico dell'età classica):

 «Chi sa se il vivere non sia morire

e il morire invece vivere».

Romina Baldoni

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