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27 Ottobre 2018

Elena Ferrante L’AMICA GENIALE

2018 - Edizioni E/O

ferr tv- L’Amica Geniale, 2007

- Storia Del Nuovo Cognome, 2012

- Storia Di Chi Fugge e Di Chi Resta, 2013

- Storia Della Bambina Perduta, 2014   

 

 

“L’Amica Geniale”. Inizi a leggerlo per curiosità: è il romanzo del momento (anche se è uscito undici anni fa), ora arriva il film in TV, è passato a Venezia, la scrittrice non si sa bene chi sia. In genere il chiacchiericcio intorno all’opera, specie se letteraria, non depone benissimo anzi spesso copre un vuoto. Ma l’idea propria, a leggere la quadrilogia della Ferrante -perchè i quattro densissimi libri andrebbero letti uno dopo l’altro, per comprenderli meglio e per vivere appieno l’esperienza emotiva- è facile farsela subito, e a capire che si è di fronte ad un’opera angolare, qualcosa per cui nella letteratura ci sarà ormai un prima e un dopo.

 

Stamattina mi ha telefonato Rino, ho creduto che volesse ancora soldi e mi sono preparata a negarglieli. Invece il motivo della telefonata era un altro: sua madre non si trovava più”: basta pochissimo per catturare l’attenzione. Uno stile asciutto eppure mai ferrante primospoglio, l’abilità di andare dritto al punto catturando allo stesso tempo l’attenzione in maniera tale che ogni digressione, ogni rivolo narrativo che scorre lontano dalla trama, non pesano e non rovinano la scorrevolezza di un vero e proprio capolavoro moderno. È Elena Ferrante, un mix esplosivo di emozioni e colpi di scena, personaggi a tutto tondo e un universo intimo e personale (quello dell’autrice) che pur non svelando nulla della sua identità mettono a nudo il suo mondo. Perché è chiarissimo, come sa chi ha letto anche le sue opere precedenti, da “L’Amore Molesto” a “La Figlia Oscura”, che temi ricorrenti nella quadrilogia ce ne sono a iosa: segnale inequivocabile che a mettersi in gioco è chi scrive, che non ruba dall’esterno ma prende quello che le serve per la sua messa in scena dalla sua esperienza personale.

 

Le protagoniste

Innanzitutto le protagoniste, Lena e Lila: due volti della stessa medaglia, probabilmente, due lati (in)esplorati della stessa Elena che gioca con allitterazioni e soprannomi per raccontare l’immenso, variegato, contorto universo femminile. Lena e Lila si rincorrono, si amano, si odiano, si lasciano e si ritrovano senza soluzione di continuità, seguendo solo l’ondivaga incertezza dei sentimenti. Che attenzione, ovviamente non si fermano ad odio e amore. Perché nelle oltre 1650 pagine complessive di questo totem ci sono ambizione, gelosia, invidia, odio, avidità: tutto nelle sue forme, spesso e volentieri, più estreme e volgari quasi, di quella volgarità che trascende il termine e scaturisce dalla violenza inaspettata di un termine, di una frase, di un’intenzione. Sfumature minime che ferr cognomecolmano le distanze più vertiginose; una doppia psicologia femminina che però per unirsi passa da un’infinità caratteriale impressionante, con una forza affabulatrice che avvolge nelle sue spire ad ogni pagina che passa.

 

Su tutto, l’incredibile capacità di raccontare della Ferrante: una lingua pulita, senza sbavature pleonastiche che non indugia sull’inessenziale ma riesce ad essere funzionale all’insieme. Un periodare complesso e sfaccettato mascherato da parlato discorsivo, che evita quando può il discorso diretto ma non evita di rendicontare parola per parola l’universo umano e narrativo che rappresenta. È incredibile notare come molto spesso ogni parola, ogni vocabolo sia pesato, ragionato, mai buttato lì a caso: una parola che richiama un concetto e ne anticipa a sorpresa un altro, una farsa che racchiude un segreto o un doppio senso che svelano un personaggio o raccontano quello che è accaduto o sta per accadere. Ma la preziosità dell’opera non sta soltanto qui: perché mentre la forma è corretta e sublime, sottile e acuta, intelligente e diretta, la sostanza fa sì che mentre si leggono le storie di Lena e Lila solo in seguito ci si rende conto che si sta leggendo di se stessi. I personaggi secondari, quasi un coro greco ma sempre perfettamente in linea, sempre allineato, sempre funzionale, hanno una propria decisa definizione che rendono la complessità della commedia umana raccontando noi stessi, a qualsiasi latitudine emotiva, sociale o culturale apparteniamo.

 

La storia

ferr perdutaComunque, per non dimenticare: la storia. Dalle prime pagine, da quelle prime righe citate, si innesca inesorabile un domino che punta alle ultime pagine, alle ultime riga, all’ultima parola dell’ultimo volume, “Storia Della Bambina Perduta". Bambine che giocano con le bambole: bambole come bambine (perse nel buio), bambine come bambole (figli usati per gioco, per sottrazione, per gelosia), vita piegata alla volontà del romanzo (quando Lila si cancella, Lena inizia a scrivere). Sghemba e fiammeggiante, quella di due amiche che passano insieme l’infanzia promettendo(si) mari e monti, che si dividono nell’adolescenza, che si ritrovano e si lasciano nell’età adulta, che si perdono nella maturità. Forse. Conturbanti ritratti femminili come due specchi in cui continuamente, ossessivamente, riflettersi, mentre sullo sfondo scorre la Napoli più oscura, che sfuma nel centro città elegante e si confonde nella periferia slabbrata. “L’Amica Geniale” (intendendo, ora e dopo, tutti e quattro i libri che la compongono) è tutto giocato su percussioni espressive, labirinti emotivi, recessi oscuri familiari, insomma gli affanni dell’esistenza più comuni e tragici, e dolorosi, e veri; utilizzando per farlo il corpo femminile e la sua “smarginatura”, termine ideato e usato da Lila, che indica il senso di “esserci e non esserci.

 

L'autrice

Elena Ferrante intanto troneggia, chiusa (o forse no) chissà dove: e ci dice che la letteratura può guarire dai mali di un presente sempre più opprimente e oppressivo, che l’arte è l’antidoto all’affanno di riconoscersi nell’attualità tragica di un Paese sempre più ferr fuggerespingente, oggi ancora più che mai. Nonostante siano vent’anni che si incartano le ipotesi più varie sulla sua identità, Elena Ferrante, napoletana, rimane un mistero -o quasi- proprio nei tempi social in cui l’esposizione di sé diventa sempre più volgare e tracimante. Riuscendo a brillare con la sua assenza, mettendo tutta se stessa senza dire niente di sé, mentre i suoi romanzi suonano di una sincerità così appassionata, così addolorata, da sembrare quasi una confessione. E creando dal nulla, consegnandoli alla storia, due personaggi che poi sono uno, partendo da una madre scomparsa (ancora, come ne “L’Amore Molesto”) e diventando pian piano (anche) un trattato di sociologia politica, con la sua narrazione ampia che copre, anche per difetto, il suo significante della Vita come fermento ingovernabile, male da destreggiare. Un’opera controversa e incoerente, violenta e pulsante, svogliata e appassionata. E misteriosa. E inafferrabile. Come noi. 

 

GianLorenzo Franzì

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