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8 Aprile 2012

Jennifer Egan Il tempo è un bastardo

2011 - Minimum Fax

 

Se parliamo a distanza di qualche mese dalla sua uscita di questo straordinario romanzo che nel 2011 ha vinto il prestigioso Premio Pulitzer, è perché grazie al recente passaggio in Italia dell’autrice e al passaparola entusiasta di chi lo ha letto, il libro è tornato sotto i riflettori dei lettori.  Libro importante che se da un lato sembra prendere atto della crisi del romanzo e della narrazione così come l’abbiamo conosciuta nei due secoli passati, dall’altro mostra fiducia nella forza della parola e nella capacità di reinventare la forma romanzo nell’epoca del web. Prendiamo la traccia 12 del lato B - avete letto bene il libro è costruito come un concept album, e i vari momenti del racconto sono suddivisi come si trattasse di un vecchio, glorioso ellepi - ebbene è costruita come fosse una presentazione in power point con tanto di slide; l’effetto, dopo un iniziale smarrimento, è di grande efficacia, bastano poche parole per costruire la figura del protagonista Alison, un ragazzino affetto da leggero autismo, alla continua ricerca delle pause di silenzio nelle canzoni rock, un vuoto che ci rimanda al tempo che passa.

 

E il tempo è il tema centrale di questi tredici racconti, narrati alcuni in prima persona, altri in terza ed anche in una straniante seconda persona: i personaggi vengono ripresi in vari momenti della loro vita, dalla San Francisco dei ’70 in piena esplosione punk ad una New York di un vicinissimo futuro, in un continuo andirivieni temporale tra passato, presente e futuro. E il tempo vince sempre, non si può tornare indietro come ci si illude in gioventù, non si può sfuggire alla sua ineluttabilità e ogni momento della nostra vita è determinato dal passato e dal futuro che incombono e che affollano la nostra mente: <<Riempimi la vita di roba. Documentiamo ogni cazzo di umiliazione. Perché in fondo la realtà è questa, no? In vent’anni non diventi più bello, specie se nel frattempo ti hanno tolto metà dell’intestino. Il tempo è un bastardo, giusto? Non si dice così?>>. Sono parole di Bosco, rocker in disgrazia e dimenticato, obeso e alcolizzato, che medita di tornare sul palco mettendo in scena il suo suicidio.

 

Altro tema che lega i personaggi e le narrazioni è la musica, corrotta anch’essa dal tempo e dal progresso, smaterializzata e appiattita dal digitale, <<un olocausto estetico>> lo definisce un personaggio, ma che forse ha ancora una speranza se c’è chi sa ancora emozionarsi al suono di una vecchia analogica slide guitar, accade nell’ultima traccia: <<O forse due generazioni di guerra e sorveglianza avevano portato la gente ad aver bisogno di vedere incarnato il proprio disagio nella figura di un uomo solo e fragile con una chitarra slide>>. I personaggi del libro ruotano intorno a due figure principali: Bennie Salazar ex musicista punk divenuto discografico di successo e la sua affascinante segretaria Sasha, dal passato burrascoso e affetta da cleptomania, gli altri personaggi,  Scotty, perso nel fallimento della sua carriera musicale, il già citato Bosco, la p.r. Dolly che costretta ad abbandonare il mondo della musica si dedica a curare l’immagine di feroci dittatori, il musicista mancato Alex, per non citarne che alcuni, sono tutti in vario modo legati a Bennie e a Sasha e la loro esistenza è intrecciata col mondo del rock e dello show business.

 

Un libro così ricco e vario << uno dei miei obiettivi, nella stesura del romanzo, era scrivere ogni capitolo in modo completamente diverso, sia per ciò che riguarda l’atmosfera, che la tonalità e la tecnica della narrazione>>, che descriverlo sia pure con qualche approssimazione appare impossibile; non resta che leggerlo, se ne apprezzerà la qualità nitida della scrittura, molto ben resa dalla traduzione di Matteo Colombo, l’ironia, la compassione, l’umanità, l’arguzia, l’abilità nel pennellare con pochi tocchi le figure dei personaggi, dai principali ai comprimari, l’attenzione ai diversi ambienti che fanno da sfondo ai racconti, la naturalezza con cui si alternano i vari piani temporali. Un’opera degna del miglior De Lillo anche per la capacità di affrontare i temi della nostra società liquida.

 

 

Ignazio Gulotta
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