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17 Gennaio 2015

Spazio Poesia: Rainer Maria Rilke Dalla parte dell’Angelo: breve studio sull’opera poetica

2015

I N T R O Rainer_Maria_Rilke,_1900

 

L’istinto poetico o esprime l’ansia bruciante della ricerca dell’Assoluto o non è. Non v’è luogo dello spirito che sia esente da questo soffio metafisico, quando la Poesia spiri irresistibilmente nei meandri dell’animo umano. V’è una poesia che piomba dall’alto sulle cose minime del quotidiano, e v’è quella che partendo dalle miserie della realtà sottostante, col suo grumo inestricabile di follia, disperazione, orrida e pulsante materia graveolente prossima al nulla, ma anche di rattenuta bellezza, nascosta e quasi occhieggiante a occhi adusi alla cecità e quindi veggenti, e di nostalgico anelito alla verità, assurge a condizione universale e dolente della condizione umana, al suo più alto grado.  Rilke, Rainer Maria, di questa seconda istanza poetica, orfica in essenza, è il più grande interprete del Novecento. Poeta ai limitari del misticismo, inteso come unio physica con le sfuggenti divinità della parola scritta, e tutto compreso del suo impossibile e, tuttavia invincibile, sogno d’assoluto, egli si muoveva, tra frulli d’ala vorticosi e stordenti, entro gli spazi della condizione angelicata dell’umano sentire.

 

Da Praga al Terzo Cielo

 

Nascono ancora le parole vicine all’Indicibile…

E la musica sempre nuova innalza con pietre che più vibrano

nello spazio inusabile il suo asilo animato dal Divino”     

 

rilkeNell’inquadrare la complessa figura del poeta praghese, 1875 – 1926, assai semplicistico e rozzamente superficiale sarebbe il troppo soffermarsi sulla sua biografia terrena, snocciolando date, tappe temporali, aneddotiche quadernidi varia e confusa umanità. La sua figura di poeta si staglia ad altezze siderali rispetto a tutta la poesia del primo Novecento, e da lì ai giorni nostri, giorni così privi di bellezza e di grazia poetica da risultare insulsi e insignificanti. A rilevare sommamente, oltre alle sortite nella prosa, “I Quaderni Di Malte Laurids Brigge”, nel campo della produzione teatrale, e nei vari, seppur pregnanti epistolari, è la sua grandiosa opera poetica, sulla quale ci soffermeremo, pur senza alcuna intentio di esaustività. I tre “corpora” poetici che prenderemo in considerazione sono “Nuove Poesie”, “Elegie Duinesi”, “I Sonetti A Orfeo”.

 

Nuove Poesie

 

Non seppe mai, chi lo vedeva vivere,

com’era in ogni cosa uno e indiviso, poiché tutto,

queste profondità con questi prati e queste acque

erano il suo viso”.

 

RilkeLa poesia giovanile di Rilke, René Maria, poi tramutato in Rainer Maria, affonda le radici in stati d’animo di mera e patente soggettività confinanti con una visione rilke foto 3prettamente intimistica del gesto poetico, dove la parola esprime più l’emotività del giovane flusso del sangue che la tentazione di vestirla d’assoluto, scevra di quel tanto di visione universale che l’avrebbe innalzata al Terzo Cielo del sublime. La ricerca sperimentale iniziata con “Nuove Poesie”, già ai primi del Novecento, connotano Rilke come uno dei più interessanti poeti di lingua tedesca del suo tempo. La tensione lirica si scioglie in canto melodiosamente modulato, col tappeto delle metafore che fiorisce ex nihilo dal gesto plastico dello scrivere. L’interiorità è sì presente e rileva sommamente, ma per dipanarsi in ansia di conoscenza dei moti “celesti” del dire, per assurgere a concetto soprasostanziale, farsi canone e norma delle cose ultime.

Siamo come ogni cosa che si schiude / e nient’altro che questa beatitudine. Ciò ch’era sangue e buio in una belva / crebbe in noi per farsi anima e si tende ancora a te / fatta anima / e ti chiama”.

 

rilkeFin quando s’era profilata la commistione, seppur di prezioso amalgama, tra Io e Mondo, tra interiorità e rilievo esteriore e transeunte dell’umano sentire, poteva darsi il concetto di poesia giovanile, in capo a Rainer Maria. Un tanto di talentuosa essenza poetica spalmata sulle cose come un olio di estrazione dal reale, senza anelito alla grazia della nominazione, senza vestimento universale, senza innalzamento e contemplazione stuporosa dell’Altro.

 

 Elegie Duinesi

 

Chi, s’io gridassi, mi udrebbe mai dalle sfere degli angeli?

E se pure d’un tratto uno mi stringesse al suo cuore:

perirei della sua più forte esistenza.

Poiché del terribile il bello non è che il principio,

che ancora noi sopportiamo, e lo ammiriamo così, ché quieto disdegna di annientarci. 

Ogni angelo è tremendo”

 

rainerAl di là delle vicende terrene del valoroso Rilke (il matrimonio con Clara e il relativo divorzio, la lunga e intensa amicizia con la fatale Lou-Andreas Salomé, il rapporto di grande pregnanza artistica con il grande scultore Auguste Rodin, la morte a soli cinquantuno anni a causa di una spietata forma di leucemia), l’incontro con gli angeli della poesia ne consacra il gesto in senso transorfico, metalinguistico, ne permea la sensibilità fino alla consumazione della spoglia prettamente umana, in vista dell’attingimento di vette superne, che dia il senso dell’avvenuta trascendenza del limite della nuda materia. Questa grandiosa operazione di angelicamento poetico, seppur “in nuce” contemplata lungo l’intera opera di Rilke, trova perfetto adempimento nelle “Elegie Duinesi”, una delle più grandi prove poetiche di ogni tempo.

 

Concepite e composte lungo l’arco di un decennio, le liriche di quest’opera, che prendono il nome dal castello di Duino, Trieste, nel quale il poeta fu a lungo ospitato dai principi Della Torre e Tasso, deflagrano entro lo schema della tradizione linguistica propria alla poesia simbolistica dell’epoca, utilizzando un canone di purezza espressiva che è anche rivoltarilke Paula Modersohn-Beckerritratto antimaterialistica, disprezzo per la società stupidamente conformistica e banale, fissazione di uno schema concettuale che imprima lo stigma della bellezza su ogni cosa narrata, delineandone margini di indelebilità assoluta. E’ l’affermazione di una visione del mondo, con echi nietzscheani, che contempli la caducità e la fragilità rilke leonid pasternakdella condizione umana dinanzi all’assoluto, la nullità del gesto quotidiano appetto all’architettura celeste, laicamente celeste, della parola poetica che riflette canoni irriducibili all’attimo transeunte. La figura dell’Angelo, è allora il medium, così come discendente per effluvio dalla sua radice greca di Messaggero dell’Altrove, attraverso cui la purezza come canone irrinunciabile si adagia sulle umane cose, redimendole dall’imperfezione e dalla drammatica caducità. Benché, gli alati esseri della tradizione cristiano-cattolica qui non trovino rappresentazione fedele, essendo più acclini alle figure dei Gynn della concettualità coranica, esseri di pura fiamma che attraversano come lame di fuoco la sostanza umana, rilasciando splendore.

“E noi che la felicità la pensiamo / in ascesa sentiremmo la commozione / che quasi ci atterra sgomenti / per una cosa felice che cade”   (Decima Elegia)

 

I Sonetti A Orfeo

 

Noi siamo nell’affanno:

ma il passo del tempo, consideralo un’inezia in ciò che sempre resta.

Tutto ciò che incalza sarà presto trascorso;

soltanto quel che indugia è ciò che ci consacra.

Fanciulli non buttate il cuore nella rapidità, ad arrischiare il volo.

Tutto s’è acquietato:

oscuro e chiarità, fiore e libro”

 

orfeoOpera uscita, in pratica, coevamente alle Elegie, "I Sonetti A Orfeo" ne ricalcano le tematiche, antiborghesi, sprezzanti del quotidiano materialistico e volgare, la lingua è quella pura della poesia, nell’atto in cui trascenda in canto degli elementi. Qui, nei cinquantacinque sonetti, il nastro lirico scorre sul tessuto della natura evocata come rilke foto 4su un filo steso sull’abisso. Il filo sottile che separa i vivi dai morti,  che ne costituisce al contempo il confine, talora incerto e sfumante nell’indicibile, la striscia talvolta invisibile sopra cui incedono figure di tragica grandezza: Orfeo, Euridice, Ermete, il Poeta stesso che narrandone le gesta tendenti al nulla finale e definitivo, le riassume con dolente e fatalistico sentimento della fine. Qui, la poesia di Rilke si fa esperienza nichilistica nel senso di Nietzsche, proponendo il racconto in versi dell’incomprensibilità dell’ordine delle cose, un topos nel quale a rilevare, come nel mito di Orfeo, è il senso dell’assurdo, l’insensatezza delle azioni umane che rifuggano dalla ricerca della verità e dell’assoluto. E la figura di Orfeo è emblematica di questo rivoltarsi dell’irrazionale contro tutto ciò che è disegno armonioso e cosmicamente ordinato.

 

rilke foto 5Il suscitatore di spettri che brama di ritrovare nelle plaghe avernali l’amata Euridice, riconquistata al regno dei vivi con la potenza del canto, quasi la lira fosse strumento di rivoluzione delle strutture archetipiche delle terre ctonie, e rilke & clara foto 6persa di nuovo preda del soffio del lato selvaggio dell’umana schiatta, che nel suo fatale voltarsi riconsegna la sposa amatissima alla sua realtà di simulacro, nel fuoco gelido dell’Ade. Quasi lo schema paradigmatico della poesia come strumento atto a trarre i morti dal loro algido avello, a farli interagire col mondo, e, in un sussulto di ritornante ebbrezza orfica, di ansia di nichilistica perdita della visione teleologica dell’assoluto, li riconsegna alla loro pietosa e irrimediabile condizione di simulacri di tutto ciò che, seppur involto nel fuoco puro del canto, appartiene all’Indicibile della parola scritta.

“Silenzioso amico di molte lontananze / senti / come il tuo respiro ancor lo spazio accresce. Nella tramatura d’oscuri ceppi di campana / abbandonati e risuona. Ciò che ti consuma / diventa forza per questo nutrimento. Nella metamorfosi entra ed esci. Qual è in te l’esperienza più dolente? Se ti è amaro il bere /  diventa vino. Sii in questa notte della dismisura magica forza all’incrocio dei tuoi sensi / senso del loro incontro strano. E se terrestrità ti ha dimenticato / di’ alla terra immota: io scorro. Alla rapida acqua parla: io sono”

Rocco Sapuppo

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